Attualità - 25 agosto 2024, 18:36

Il pastore Marchetti ha lasciato San Germano Chisone con il ‘suo Seminatore’

Gli è succeduto a fine luglio Winfrid Pfannkuche ma continuerà a svolgere le sue conferenze culturali in cui ha parlato anche del celebre quadro di van Gogh, di cui una stampa gli è stata donata dai fedeli

Il pastore Ruggero Marchetti vicino al quadro del Seminatore di Van Gogh

Il pastore Ruggero Marchetti vicino al quadro del Seminatore di Van Gogh

“Il ‘Seminatore al tramonto’ affronta con passo deciso il terreno scabro lasciandosi alle spalle la messe già matura perché c’è ancora da seminare e questa è la sua vocazione”, Ruggero Marchetti posa gli occhi sulla stampa del celebre quadro di Vincent van Gogh che i fedeli di San Germano Chisone gli hanno regalato quando è andato in emeritazione e che ora campeggia sulla parte del suo salotto nella Casa dei professori di Torre Pellice. Settantreene, originario di Roma, ha celebrato il suo ultimo culto domenica 28 luglio. Gli è successo il pastore Winfrid Pfannkuche.

‘Il Seminatore’ e la paura del futuro

Amante della pittura di van Gogh - quanto della letteratura di Fëdor Dostoevskij - al quadro di cui esistono due versioni diverse, Marchetti ha dedicato una delle sue conferenze culturali mensili che ha inaugurato in paese e che continuerà a condurre: “Entrambe le versioni sono state dipinte nel 1888 a pochi mesi dal suicidio del loro autore e hanno due atmosfere diverse: qui predomina il sole dorato e spicca il raccolto già maturo, mentre nell’altra l’astro è quasi grigio e il terreno arido. In tutti e due i casi il contadino continua con ostinazione a lavorare”. In un’atmosfera di speranza, così come in un’atmosfera drammatica, l’atteggiamento del seminatore può insegnare qualcosa alla società che Marchetti, nel suo ministero, ha visto cambiare: “Nel mio ruolo di pastore ho visto nascere l’epoca post-cristiana e la post-modernità caratterizzata dalla crisi delle tradizioni del passato e dalla paura del futuro – racconta –. La crisi demografica che ha colpito anche i paesi in cui ho predicato in parte è dovuta anche a questo. I genitori si chiedono: in che mondo vivrà nostro figlio?”.

Fuori e dentro le Valli valdesi

La carriera di Marchetti è stata caratterizzata dall’alternanza tra città e paesi, in un continuo trasferimento dentro e fuori le Valli valdesi. La sua vocazione nacque a Roma, dove si era laureato in filosofia: “Avevo già compiuto studi teologici in ambito cattolico ma poi ho approfondito la Riforma protestante e mi sono avvicinato alla Chiesa valdese di piazza Cavour. Lì ebbi la fortuna di incontrare il pastore Franco Sommani a cui rimasi legato”. Il suo primo incarico fu a Forano Sabina a una sessantina di chilometri da Roma. Poi arrivò ad Angrogna dove rimase dal 1990 al 1994, per poi partire per la Chiesa di Aosta, periodo in cui seguì anche la comunità valdese di Ginevra e Losanna. Nel 2001 succedette al pastore di San Secondo di Pinerolo dove rimase fino al 2010; partì quindi per Trieste dove gli venne affidata la Chiesa valdese, metodista ed elvetica riformata. “A quattro anni dall’emeritazione mi chiesero di candidarmi per la Chiesa di San Germano Chisone racconta –, accettai anche perché mia moglie è di origine tedesca e da giovane aveva frequentato le Valli rimanendo affezionata a questi luoghi. Lei mi ha seguito per tanto tempo nei miei spostamenti, ora toccava a me assecondare un suo desiderio. Sono rimasto a San Germano per sette anni”. In paese ha ricoperto anche il ruolo di cappellano dell’Asilo dei vecchi.

Ciò che ha avvicinato Marchetti al movimento valdese è una certa insoddisfazione: “All’interno della Chiesa cattolica ero a disagio con la centralità dell’istituzione che toglieva spazio alla centralità di Cristo” spiega. Nel culto valdese ha poi trovato il completamento dell’insegnamento di Lutero: “Ho l’impressione che nelle Chiese luterane ci si sia ‘fermati’ a Lutero: lui aveva conservato la struttura della messa cattolica solo come un punto di partenza di un’evoluzione necessaria – spiega –. Questa evoluzione l’ho incontrata nei culti valdesi improntati all’essenzialità e semplicità. Valori di cui sono sempre alla ricerca”.

Sorprese e risate ad Angrogna

La prima impressione delle Valli valdesi si impresse ad Angrogna: “I mio primo culto fu a Pradeltorno, la quarta domenica di settembre. Mentre in macchina salivo al tempio continuavo a vedere auto parcheggiate ai bordi della strada: cominciai a credere quindi che avrei trovato folla al culto racconta –. Quando giunsi sul posto mi accorsi che pochi fedeli mi stavano aspettando mentre tutti erano lì per una gara di skiroll”. Il ‘mito’ delle Valli valdesi, alimentato negli anni, si ridimensionò a mano a mano, ma gli incontri umani fatti in quegli anni tornano ancora nei suoi ricordi: “Ho visto il progressivo invecchiamento dei residenti e lo spopolamento di Angrogna. Pradeltorno, ad esempio, dove era forte la presenza valdese, si è piano a piano svuotata e riempita di famiglie cattoliche che hanno acquistato lì una seconda casa”. Negli anni Novanta Angrogna sembrava ancora vivere in un’altra epoca: “Mi ricordo la grande quantità di uomini che non si sposavano mai e rimanevano nella famiglia di origine. Di un fedele, ad esempio, che era rimasto ‘orfano’ a settant’anni, e di Plavan che viveva a Cachet e si recava a lavorare tutti i giorni in Fiat a Torino, partendo di notte e tornando la sera ma, che non avrebbe mai lasciato la casa di famiglia nella borgata”. Il senso dell’umorismo che l’ha accompagnato nei suoi incarichi trovò terreno fertile nelle situazioni bizzarre che incontrò in paese: “Un pomeriggio una donna mi aveva pregato di mangiare il suo risotto davanti al marito ed ai figli. Una volta finito mi chiese se mi era piaciuto e alla mia risposta affermativa si rivolse ai suoi famigliari dicendo: ‘Vedete! Non era cattivo come dicevate a pranzo: questa sera quindi lo mangerete a cena”. Un’altra volta l’ilarità coinvolse l’intero paese, seppur in un momento drammatico: “Avevo consolato i figli di un uomo appena deceduto dicendogli: ‘C’è da stare lieti: fino all’ultimo vostro padre ha fatto ciò che ha voluto’: effettivamente, seppur molto anziano, fino agli ultimi giorni aveva fatto ciò che voleva, seguendo ad esempio i animali al pascolo. Quando apparvero gli annunci funebri in paese vidi che si formavano capannelli di concittadini che ridevano: i famigliari infatti avevano fatto scrivere ‘Lo annunciano lieti i figli’. Mi avevano preso in parola!”. 

La fioritura di San Secondo e la crisi di San Germano

A San Secondo di Pinerolo, Marchetti fu testimone di una svolta: “Ero pastore nel periodo dei Giochi olimpici invernali del 2006 e vidi fiorire il paese” afferma. I cambiamenti legati all’evento favorirono la crescita del territorio: “La svolta venne impressa dai miglioramenti delle vie di comunicazione: dal completamento dell’autostrada che prima si fermata ad Airasca e dagli interventi sulla rete ferroviaria. Cominciai a veder arrivare nuove famiglie, soprattutto da Torino, che si insediavano in paese. Tutta la zona da Bricherasio a Cantalupa, passando da San Secondo, si trasformò nel ‘salotto buono’ di Pinerolo”.

Nei suoi anni a San Germano Chisone, Marchetti condivise invece con i residenti la malinconia per il passato florido della Val Chisone: “I giovani tendono ad allontanarsi ormai da una valle che un tempo era il motore economico del territorio, con l’Skf con il cotonificio Widemann e le miniere. Ho visto il paese spopolarsi e invecchiare: basti pensare che all’inizio erano più di trenta i bambini che frequentavano la Scuola domenicale ma sono scesi a nove nel giro di sette anni”.

Dove sono finiti i valdesi?

Come a Pradeltorno anche a San Germano Chisone, Marchetti ha visto indebolirsi la presenza valdese: “La caratteristica culturale valdese si è indebolita sempre di più. Il calo numerico dei fedeli che frequentano il culto ne è un segnale”. Anche il suo lavoro di cappellania l’ha messo di fronte al fenomeno: “Fino a vent’anni fa il rapporto tra l’Asilo dei Vecchi e la Chiesa era strettissimo: durante la ristrutturazione dell’edificio avvenuta trent’anni or sono, le famiglie valdesi avevano contribuito in modo forte alle spese e alcuni destinando addirittura uno stipendio intero con la speranza di poter poi condurre in quel luogo una vecchiaia serena”. Ora, all’Asilo dei Vecchi, nuovamente ristrutturato, tanti ospiti arrivano da fuori: “La presenza dei valdesi è drasticamente calata” rimarca.

Ai culti che conduceva all’Asilo valdese non partecipavano solo i fedeli: “Tanti non erano valdesi e a volte mi interrompevano per fare le loro domande: si era creato un ambiente famigliare”. La pandemia invece di indebolire ha rafforzato i rapporti tra di loro: “In quel periodo terribile gli ospiti sono rimasti mesi e mesi chiusi nelle loro camere, quindi ho cercato di tornare all’interno della struttura il prima possibile. Non ero ancora autorizzato a svolgere i culti, ma ho ripreso con le visite, e proprio in quel momento i nostri rapporti sono diventati famigliari”.

Elisa Rollino

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