A 85 anni ha una lucidità invidiabile e non fa pesare minimamente di essere un mito. Perché quella medaglia d'oro nei 200 metri, ai Giochi del 1960 a Roma, lo ha consacrato come uno degli atleti italiani migliori di sempre. Livio Berruti, torinese classe 1939, è stato consegnato all'immortalità da quel trionfo, che lo emoziona ancora oggi, quando rivede quelle immagini: "Anche se è una emozione diversa, allora non c'erano l'esasperazione e lo stress che oggi accompagnano i grandi atleti".
Berruti, iniziano le Olimpiadi di Parigi, ma prima dell'attualità è inevitabile fare un tuffo nel passato. Si aspettava quel trionfo 64 anni fa?
"Io pensavo che già arrivare alla finale fosse il massimo. Avevo solo 21 anni e la concorrenza era fortissima, soprattutto quella degli americani. In semifinale fui sorpreso di aver battuto il record mondiale ma invece che essere contento era preoccupato, per non dire arrabbiato".
Come? Aveva appena infranto il record...
"Temevo di aver speso troppo, ricordi che la finale era in programma solo due ore dopo... Però, col passare dei minuti, ho preso coscienza che potevo giocarmela, che stavo bene. Di sicuro, mi ha aiutato correre con la tranquillità e la leggerezza di chi non deve fare risultato a tutti i costi".
Poi arrivò quel tuffo sul filo di lana, l'estasi dello stadio Olimpico, con la voce di Paolo Valenti a rimbombare nelle case degli italiani per raccontare quel trionfo.
"Una cosa meravigliosa ma del tutto inaspettata, lo ripeto".
Prima Berruti, poi Mennea a Mosca nel 1980, per arrivare a Jacobs e ai 100 metri di Tokyo. Cosa aveva lei di diverso rispetto agli altri due sprinter azzurri e viceversa?
"La mia corsa era molto naturale, avevo più elasticità che potenza, Mennea si è costruito nel tempo con allenamenti durissimi che lo hanno portato ad arrivare al top vicino ai trent'anni. Jacobs è il prototipo dell'atleta moderno, che usa tutti gli strumenti tecnologici oggi in dotazione per migliorare: può contare sull'aiuto dello psicologo, ha il mental coach, ha accanto a sé una vera e propria equipe. Una volta non era mica così, l'atleta era più solo... ma questo è il segno dei tempi nuovi".
Dal passato al presente. Il presidente del Coni Malagò ha detto che l'Italia parte per conquistare una medaglia in più rispetto alle 40 di Tokyo. Sogno o obiettivo realizzabile?
"Lo sport è fatto anche di cicli, di alti e bassi, noi in questa fase stiamo andando molto bene, per questo non sarei per nulla sorpreso se l'Italia sapesse migliorare il bottino di medaglie di tre anni fa. Non siamo mai stati forti come oggi".
Da quali campioni possiamo attenderci l'exploit?
"Parto dall'atletica e dico naturalmente Jacobs. Dopo qualche anno non facile, anche a causa di problemi fisici, è tornato a livelli altissimi e sa come si gestiscono gare ed emozioni di questo tipo. Poi naturalmente Tamberi, il nostro portabandiera, uno che non sbaglia mai un colpo. Ma anche la staffetta 4 per 100 può ripetersi, mi aspetto molto dai marciatori, da Crippa nel mezzofondo, abbiamo tante frecce al nostro arco, perché vedo tanti ragazzi giovani baldanzosi e sicuri di loro".
E guardando oltre l'atletica leggera?
"Il nuoto e la scherma dovrebbe portare diverse medaglie, ma mi piacerebbe se arrivasse il trionfo delle ragazze della ginnastica ritmica, lavorano duro da tanti anni, sarebbe storico per un movimento in continua crescita. E poi spero nella medaglia d'oro per la pallavolo, l'unica mancata alla cosiddetta 'generazione di fenomeni' negli anni Novanta. Negli sport di squadra entrano in ballo anche altre dinamiche, ma noi siamo fortissimi: sono convinto che Parigi ci regalerà tante emozioni azzurre".