1998, un anno da cerchiare in rosso nella storia della musica dance. E' infatti uscita “Blue”, che poi nel 1999 diventò una hit mondiale, con quel suo ritornello “da ba dee da ba da” che ti entrava in testa per non uscirne più. Gabry Ponte, ex Eiffel 65, ne ha fatta di strada da allora: oltre 3 miliardi di streaming, 22 dischi d'oro, 39 di platino e 2 di diamante, terzo artista più scaricato al mondo su Spotify. Ora, a 25 anni da quel primo successo, ha deciso di celebrare quel brano e la sua carriera con un grande concerto-evento. La prima data è stata a Milano, al Forum di Assago, la replica sarà sabato 2 marzo all'Inalpi Arena di Torino, la sua città.
Partiamo dalla fine: 25 anni di carriera, ma anche 50 anni di vita. Quale dei due numeri le fa più impressione?
Io ho un buon rapporto con l'età: non mi fa paura il tempo che passa, ma se ripenso alla mia carriera continuo a meravigliarmi. Lo spartiacque della mia vita e della mia carriera è stata “Blue”, uscita appunto 25 anni fa, ma in realtà io mettevo i dischi già da un decennio. Quando avevo 15/16 anni non avrei mai potuto immaginare, nemmeno nelle più rosee aspettative, che il mio futuro potesse essere quello che poi è stato.
Quali erano i suoi sogni all'epoca, all'inizio degli anni Novanta?
Forse non lo sapevo bene nemmeno io. Di notte ero il dj che metteva i dischi nei locali, al mattino lo studente appassionato che si presentava in via Pietro Giuria, anche se con le occhiaie, per studiare Fisica all'Università. Era la mia doppia vita: da Dottor Jekill a Mister Deejay. La Fisica? La amavo, mi vedevo lavorare al Cern di Ginevra dove avevo fatto una gita con la scuola; ero affascinato all'idea di studiare le particelle, di scoprire l'Universo partendo dal microscopico. E volevo accontentare mio padre che avrebbe voluto un figlio laureato. Ma la verità è che quello è sempre stato il piano B: la mia vera passione era la musica.
Così, tra il giorno e la notte, ha scelto quest'ultima
Ho resistito alcuni anni poi ho deciso, ma è stato un po' un salto nel buio: mettevo i dischi al Charleston, una discoteca di via Cavalcanti che ora non esiste più, e poi, da resident dj, al Mixage in via San Donato, ma non sapevo dove tutto questo mi avrebbe portato. All'epoca non c'erano modelli di riferimento come Martin Garrix o Tiesto, io e pochi altri siamo stati dei precursori: eravamo i primi dj producer, i primi a creare musica con le macchine, tastiere, compressori e mixer. Una strada da seguire non c'era e forse in un certo senso l'abbiamo tracciata noi. Di una cosa ero sicuro: facendo il dj mai avrei potuto esibirmi riempiendo un palazzetto come facevano le rock star...
E invece i Palazzetti li riempie eccome. Sold out al Forum, ora a Torino, poi il tour. Che show è?
Io faccio due tipi di serate: i dj set nei club, dove per il 90% suono cose nuove, più techno e 'martellose', con un pubblico più giovane, e gli show nelle piazze o nelle location più trasversali, con musica più pop. Ore è tempo di mettere insieme queste due anime, partendo da “Blue” e dalle mie hit più iconiche: ci sarà un po' di passato, un po' di presente e anche un po' di futuro. Sono previsti visual, laser, effetti speciali, ma niente scaletta: quando si è in consolle ci deve sempre essere libertà e io sono abituato ad andare a braccio, mi faccio condizionare solo dal mood della serata.
Torino le vuole bene, tanto che l'ha scelta per il concerto di San Giovanni nel 2021 in diretta streaming dal Valentino durante il Covid. Com'è il suo rapporto con la città?
Beh molto forte, Torino è casa. Sono nato e cresciuto qui e quando mi esibisco a Torino il mio cuore batte in maniera diversa. Proprio qui, tra l'altro, c'è stata la svolta che mi ha fatto scoprire la figura del dj producer. È successo quando ho conosciuto Massimo Gabutti, che ha avuto l'intuizione di affiancare a un dj le figure del musicista e del cantante. Nel suo studio di registrazione, in zona Parella, ho avuto l'opportunità di imparare a mixare, a usare gli effetti e a produrre con una strumentazione adatta. È lì che, tra tanti ragazzi, ho conosciuto Maurizio Lobina con cui poi, anni dopo, al tempo degli Eiffel65, è nata “Blue”.
“Blue” è stata un successo planetario e ancora oggi si ascolta nelle discoteche di tutto il mondo. Qual è il segreto di quella canzone?
Fondamentalmente non c'è. Per fortuna quell'alchimia che a volta si crea con una canzone non è traducibile in una regola se no saremmo tutti sempre al numero 1 in classifica. È stata una magia, però all'inizio era stata un flop, svuotava letteralmente la pista e forse proprio quello era speciale: era qualcosa di totalmente nuovo, diverso da tutto ciò che si ascoltava di solito in discoteca. A tenere “Blue” viva negli anni ci hanno poi pensato vari remix e cover di artisti che, periodicamente, l'hanno ripresa e rifatta. Un anno fa David Guetta le ha ridato vita riportandola in cima a tutte le classifiche e addirittura Elon Musk l'ha postata su “X” commentando “great song” (A quel messaggio, Gabry Ponte ha risposto con una proposta: “Portiamola su Marte”, ndr).
Ha pubblicato tante altre hit, da “Thunder” a “Che ne sanno i duemila”, che hanno fatto ballare diverse generazioni. Come sono cambiati in questi anni il suo pubblico e in generale il mondo della notte?
Agli eventi vengono a vedermi tutti: dai bambini di 7 anni agli adulti di 70. I miei coetanei che ho fatto ballare 30 anni fa, oggi vengono a sentirmi portando i loro figli. Ma in realtà ci sono anche ragazzi dai 15 ai 25 anni che mi conoscono per le cose più nuove. Nelle serate da dj set l'utenza è più definita, più giovane. Per quanto riguarda il mondo della notte, penso che sia rimasto sempre uguale: è il regno del divertimento. A cambiare, semmai, è stata la musica, che si è evoluta: prima la dance era relegata ai club, adesso è crossover, tanto che ci sono i festival, i concerti, gli show. Trent'anni fa la consolle era nascosta, oggi quasi ovunque è sul palco, in alto e in bella vista, e i dj sono le nuove rock star.
Ha una carriera sempre al vertice, non ci sono momenti di crisi?
Certo che sì, i periodi di down sono continui anche se si notano meno di quelli positivi. Oggi in particolare la soglia di attenzione del pubblico si è abbassata e l'offerta si è moltiplicata: la gente si dimentica subito di te se non sei bravo a costruire una fan base solida e se non riesci a stare al passo. Nel mio lavoro è importante studiare, restare aggiornati, altrimenti si rischia di non cogliere lo spirito del tempo.
Lavoro a parte, che musica ascolta?
Già da piccolo ascoltavo musica elettronica, ero sempre attaccato a Radio Deejay che a fine Anni 80 era l'unica a trasmettere quel genere. Ero in fissa 24 ore su 24. Ma poi c'erano i grandi cantautori italiani, da De Andrè a Celentano, Bennato e tanti altri che mi faceva ascoltare mio papà quando viaggiavamo in macchina. Ho imparato ad amarli e proprio per questo ho fatto diversi remix di successo sulle loro canzoni, portandole nelle sonorità dance.
Lei sperimenta su Tik Tok, ha fatto un dj set nel Metaverso e utilizza l'Intelligenza Artificiale nel suo lavoro, insomma non ha paura delle novità
Tik Tok è pazzesco, riesce a ridare vita a canzoni passate ma è anche uno strumento di lavoro stuzzicante: io ci trovo molta ispirazione, molti input, e scopro artisti molto interessanti. Così come interessante è l'Intelligenza Artificiale: usata bene ci semplifica parecchio il lavoro, ma va regolamentata. Il metaverso non è ancora conosciuto su larga scala, bisogna avere pazienza ma di sicuro offre enormi possibilità.
Cosa vuole fare da grande?
Il problema è che ormai sono già grande... (ride) No, in realtà io sono uno che non si ferma mai. Ora mi dedicherò al tour, che è partito da una data e ora ne ha già quattro, poi ne aggiungeremo altre dopo l'estate. E ho già qualche appuntamento all'estero.