Copertina - 01 agosto 2023, 00:00

David Avino, l'uomo delle stelle che fa sognare Torino a occhi aperti

Fondatore di Argotec, una delle aziende più vitali del settore dell'Aerospazio, è anche il patron della Reale Mutua Basket Torino, pronta a ritentare la promozione in massima serie. Dal 2022 è pure presidente di Airc Piemonte e Valle d'Aosta

David Avino, l'uomo delle stelle che fa sognare Torino a occhi aperti

David Avino, ex paracadutista della Folgore, è stato insegnato come, dal cielo, si possa atterrare in sicurezza portando a compimento la propria missione. Ma una volta abbandonata la carriera militare con il grado di capitano, alle stellette ha preferito le stelle. Quelle del cielo, ma anche quelle dello sport.

Nato a Foligno nel 1971, Avino risiede a Torino dal 1999, ma sotto la Mole aveva già frequentato la Scuola di Applicazione dove, nel 1992, è stato premiato come miglior studente nel settore dell'artiglieria.
Oggi la divisa non fa più parte della sua vita, ma il suo nome si sta affermando sempre di più nel panorama cittadino: nell'economia, grazie alla creazione di un'azienda di primo piano nel mondo dell'aerospazio come Argotec, ma anche nello sport, dove è il patron della Reale Mutua Basket Torino, la squadra che ha sfiorato la promozione in massima serie e che ora è pronta a riprovarci.
Dal 2022 è anche presidente dell’Associazione Italiana Ricerca Sul Cancro (AIRC) del Piemonte e della Valle d’Aosta.

Dai lanci col paracadute a quelli dei satelliti, fino ai tiri a canestro: la sua vita è legata a parabole e traiettorie. C'è un filo conduttore?

"Il filo conduttore è quello dell'adrenalina. Il volo è parte del mio modo di essere e le ali del gabbiano, che ora sono stilizzate nel simbolo di Argotec, le sento dentro di me. Sono un simbolo di libertà, ma anche di quel un sogno da poter inseguire nella vita. Volare verso il basso oppure lanciare verso l'alto, nello Spazio, uno strumento che è frutto del lavoro fatto insieme al proprio team regala una sensazione davvero unica".

Partiamo dall'aerospazio. Nel 2008 c'era solo lei, in azienda, mentre oggi Argotec è protagonista di imprese internazionali e punta a espandersi con una nuova sede a San Mauro. 

"Di questi quindici anni conservo un ricordo incredibile, caratterizzato dalla sfida costante di voler crescere, di tentare di arrivare prima degli altri, di motivare altre persone insieme a me a costruire un sogno per arrivare sempre più in alto. Pochi giorni fa, parlando con i miei collaboratori, abbiamo avuto la possibilità di fermarci dopo essere sempre stati di corsa e abbiamo tracciato una linea. E' stata una sensazione potente, è stata una grande percezione di inclusione e di condivisione".

E' stato difficile, all'inizio, trasformare il suo sogno imprenditoriale in una realtà concreta?

"Ritengo di avere avuto una grande fortuna nell'aver potuto realizzare questo percorso di crescita. All'inizio non era facile convincere le persone a unirsi a noi, a entrare e poi rimanere in azienda. Adesso invece avere una riga sul proprio curriculum legata ad Argotec è diventata un motivo di prestigio".

E' difficile oggi come oggi trovare i profili adatti?

"Non è facile, perché la domanda da parte delle aziende, non solo noi, è superiore all'offerta di candidati. E questo non per colpa degli atenei, che sono di primissimo livello. Ma i profili che vengono sfornati ogni anno non sono ancora abbastanza. Bisogna diffondere sempre di più le materie stem, di cui c'è grande richiesta nel mercato del lavoro. Informatica, tecnologica, ma anche meccanica, fisica e le materie più tradizionali".

Torino culla il sogno della Cittadella dell'Aerospazio: voi come pensate di rapportarvi con questo progetto, pur prendendo casa a San Mauro?

"San Mauro ci ha aperto le porte e siamo stati felici di progettare lì la nostra nuova sede, ma ci sentiamo legati un po' a tutta Torino nord, a Settimo e alla città metropolitana nel suo insieme. La Cittadella è un progetto ambizioso, ma cui servirà tempo per andare a regime. Sicuramente, però, all'interno ci saranno aziende con cui già collaboriamo e con cui poi collaboreremo in futuro. Noi abbiamo nostra identità, ma non chiudiamo la porta a nessun tipo di relazione o legame".

Tanti torinesi oggi la conoscono anche come il patron della squadra di basket cittadina. Come si è avvicinato alla palla a spicchi?

"Mi sono avvicinato alla pallacanestro dopo aver giocato, con scarsissimi risultati, da giovane. Quando avevo pochi anni andavo al Palazzetto con mia mamma ed eravamo abbonati. E' un luogo che ho sempre avuto nel cuore e quando ne ho avuto la possibilità ho cercato di ridare qualcosa al territorio e alla gente appassionata di basket. Sarebbe bello se, in questa volontà di dono e di restituzione, anche altri imprenditori si avvicinassero diventando partner, come già fanno alcuni sponsor importanti che abbiamo al nostro fianco. L'importante è condividere lo spirito e l'anima che spinge questo progetto".

La finale persa contro Pistoia (invece della favoritissima Cantù) vi costringe a ripetere l'anno in cadetteria. Ma l'obiettivo è sempre la massima serie?

"L'obiettivo è quello di riprovare a salire. Torino merita una squadra ai massimi livelli. Ma non è scontato arrivare di nuovo in finale: sarà una grande sfida, visto che tanti si stanno rinforzando. Ma anche noi stiamo facendo lo stesso. Di certo la risposta del pubblico è stata una delle cose che più mi ha rincuorato, fin dai primi giorni dopo la sconfitta con Pistoia. A inizio anno vendevamo una media di 1500-1700 biglietti, ma siamo arrivati alla massima capienza di 4000 spettatori. E' stato bellissimo".

Da poco più di un anno lei è anche presidente dell'Airc Piemonte e valle d'Aosta, l'associazione che sostiene la ricerca contro il cancro. Come mai questa scelta?

"Ho abbracciato questo impegno perché in quel momento serviva qualcuno che potesse dare supporto all'attività preziosissima che porta avanti Airc. Si tratta di una delle realtà che, su scala nazionale, raccoglie più fondi da destinare alla ricerca contro il cancr e Piemonte e Valle d'Aosta sono due dei territori che danno le risposte più importanti. Non potevo non sposare questa causa. E ho scelto di dare una delle cose più preziose che abbiamo: che non è il denaro, ma il nostro tempo".

Massimiliano Sciullo

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