“Una bella e lunga conversazione con la vita di tante persone”. Così Paola Grand, ex medico di base a Torre Pellice, sintetizza in una frase i sui 42 anni di lavoro e gli aspetti che più ha amato della sua professione. Grand ha compiuto i 68 anni a settembre dello scorso anno ma non ha lasciato il suo ambulatorio fino a febbraio. “Il mio ultimo giorno di lavoro è stato il 28 febbraio. Ho deciso di continuare fino a quando non avessi potuto lasciare i miei pazienti nelle mani di una collega che stimo e che ha preso il mio posto. Inoltre, volevo garantire alla mia segretaria una continuità lavorativa” spiega.
Quarantadue anni a Torre e Villar Pellice
Paola Grand ha dedicato tutta la sua vita professionale ai pazienti torresi e villaresi. “Mi sono laureata a luglio del 1982 e a settembre di quell’anno ero già guardia medica – racconta –. Poi presi il posto di Giovanni Vilianis, medico di Villar Pellice, che decise di continuare il suo percorso professionale in ospedale. Pochi mesi dopo scomparse il medico di Torre Pellice Luigi Avanzi, così cominciai a lavorare anche lì”. A Torre Pellice, Grand visitò in tre ambulatori diversi: “Iniziai in corso Gramsci, dove rimasi per poco tempo. Mi spostai poi in via Caduti per la Libertà e infine in via Arnaud”. Grand non ha mai fatto parte delle associazioni di medicina di gruppo che sono sempre più numerose e permettono di condividere studi e personale: “Tuttavia ho sempre condiviso il mio ambulatorio con i colleghi Osvaldo Ghirardi, Silvio Boer e Mario Soligo”.
Il primo cellulare che non piacque ai pazienti
Proprio assieme al dottor Ghirardi, Grand fu uno dei primi medici di base a dotarsi di un cellulare ai tempi in cui non ne era ancora diffuso l’utilizzo tra la popolazione: “Ci serviva per organizzare meglio il lavoro: spesso capitava, infatti, che dopo una visita domiciliare si tornava in ambulatorio dove ci aspettava una richiesta di visita non lontano dal posto in cui eravamo appena stati. Con il telefono portatile diventò più facile organizzare gli spostamenti”. Fu un’innovazione che le cambiò la vita: “Dal quel momento sono diventata sempre raggiungibile”. La novità, tuttavia, non piacque ai valligiani: “Allora le telefonate ai cellulari costavano di più così i pazienti cominciarono a chiamare l’Asl lamentandosi della nostra iniziativa” ricorda.
Il Liceo e l’Ospedale valdese
La vocazione per una professione scientifica nacque tra i libri di latino e greco del liceo classico che Grand – di padre bobbiese e madre angrognina – frequentò a Torre Pellice. “La determinazione si sviluppò durante i primi anni di Liceo valdese. Nell’estate tra la seconda e la terza lavorai in un ospedale svizzero vicino a Neuchâtel e lì compresi che era la scelta giusta” racconta.
Prima di approdare alla facoltà di medicina dell’università di Torino, Grand poté contare sugli insegnamenti del dottor Dario Varese: “Lui era primario dell’Ospedale valdese di Torre Pellice dove io era volontaria. Lo seguivo durante le sue visite e mi insegnò a fare di tutto. Così, grazie a lui, affrontai gli studi universitari con una buona competenza di base”.
Le storie dei libri e delle persone
Nonostante la scelta professionale, la cultura letteraria non è mai uscita dalla vita di Grand che è uno dei punti di riferimento del circolo Laav (Letture ad alta voce) di Torre Pellice. “Anche per un medico la cultura letteraria è fondamentale: ti permette in modo diverso di entrare in relazione con le persone e con le loro emozioni” spiega. Per lei quello del medico, inoltre, è un lavoro ricco di storie: “Nonostante col tempo siano aumentate le pratiche burocratiche e le competenze tecniche richieste con la digitalizzazione, ho sempre cercato di non erodere il tempo che dedicavo alle storie delle persone. La mia sfida è stata quella di essere sempre presente con la testa per ascoltare i miei, nonostante le preoccupazioni di tipo burocratico”.
La curiosità per il tempo nuovo
Anche nel suo futuro da pensionata l’attendono nuove storie: “Voglio continuare a leggere sia a bassa che ad alta voce. D’altronde le attività che con Laav facciamo nelle case di riposo, e con gli ipovedenti, sono anche un modo per continuare ad occuparmi di salute”.
Grand rivela di aver appeso al chiodo il camice con un misto di sollievo e malinconia: “A queste sensazioni si aggiunge la curiosità per il tempo nuovo che si è aperto davanti a me – continua –. Credo che avrò modo ora di occuparmi di più della mia salute, di stare di più con mio padre e mia figlia e di frequentare la montagna che è da sempre stato un mio grande amore”.