Un Occhio sul Mondo - 12 aprile 2025, 09:00

La storia infinita della difesa europea

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

Un primo tentativo per dotare l'Europa di una propria organizzazione strutturata di difesa e sicurezza fu effettuato nel 1952, attraverso il Trattato per l'istituzione della CED - Comunità Europea di Difesa. Si trattava di un progetto che avrebbe dovuto costituire una prima fase per conseguire una cooperazione, non solo politica ed economica, ma anche militare. Le prime Nazioni che aderirono furono sei (Italia, Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi) e avrebbero dovuto mettere a disposizione un Corpo d'Armata ciascuna, posti sotto un Commissariato, con poteri di comando e controllo.

Ogni velleità naufragò di fronte alla ratifica del Parlamento francese che non arrivò mai e ad una decisa opposizione britannica, che non ammetteva un'iniziativa di tale natura, senza la partecipazione USA ed in parallelo ad una NATO, che già stava combattendo la “Guerra Fredda”.

Questo fallimento determinò un lungo periodo in cui prevalse un convinto e generale scetticismo verso il proposito di costruire una struttura autonoma di difesa europea e per registrare un rilancio serio al riguardo, si dovette arrivare al Trattato di Maastrich del 1992, in cui furono definiti i tre pilastri dell'Unione Europea i quali, oltre alla dimensione comunitaria e alla cooperazione dei settori giustizia e affari interni, prevedevano anche la cooperazione di politica estera e di sicurezza - PESC.

Due furono le principali proposte dibattute. Quella franco-tedesca passava attraverso la rivitalizzazione della UEO -Unione Europea occidentale, organo costituito nel 1954 e poi gradualmente scomparso dalle scene internazionali a causa della sua inutilità, che sarebbe dovuto diventare un'organizzazione militare europea, in grado di implementare una “difesa comune”, anche intervenendo in conflitti in maniera autonoma rispetto alla NATO. La seconda  proposta, di matrice britannica e olandese, un po' più concettuale, si basava su un graduale processo di lungo periodo per lo sviluppo di una “politica di difesa comune”, la PESC appunto, in un'ottica di assoluta cautela verso l'Alleanza Atlantica.

Tanto per cambiare, prevalse quell'anima temporeggiatrice ed inconcludente che tanti danni ha creato al Vecchio Continente, per cui si adottò una soluzione mediata tra le due proposte, prevedendo di porre tra gli obiettivi primari dell'Unione il conseguimento di una “politica di difesa comune” (accontentando Londra e L'Aia), che avrebbe dovuto perseguire una reale “difesa comune”, attraverso una concreta cooperazione militare (accontentando Parigi e Berlino).

Comunque, fu definita la Dichiarazione di Petesberg, con cui i Paesi Membri si impegnavano a mettere a disposizione Comandi e unità militari per le cosiddette “missioni Petesberg”, genericamente definite di natura difensiva, umanitaria e di soccorso.

Un passo successivo fu compiuto nel 1996, con il tentativo di identificare più specificatamente i margini di possibile intervento dell'Unione Europea negli scenari internazionali che, a seguito della dissolvenza della contrapposizione Est-ovest, erano caratterizzati da sempre maggiore instabilità e complessità. La UE decideva di impegnarsi in “missioni umanitarie e di soccorso, attività di mantenimento della pace e missioni di unità di combattimento nella gestione di crisi, ivi comprese missioni tese al ristabilimento della pace”.

In realtà, si trattò però solo di un timido passettino, perché comunque non venivano sancite procedure ed automatismi, di natura sia politica che operativa, che avrebbero potuto dotare l'Europa di una capacità di risposta tempestiva ed adatta a fronteggiare quei mutamenti di situazione dell'ambito internazionale che, nel frattempo, divenivano sempre più rapidi e violenti.

Infatti, in termini istituzionali, il focus decisionale rimaneva nelle prerogative del Consiglio Europeo il quale, tuttavia, aveva solo il potere di “raccomandare” agli Stati Membri l'assunzione di disposizioni in materia di sicurezza e di difesa, peraltro nel pieno rispetto delle norme nazionali. L'UEO, potenziale mano armata difensiva europea, rimaneva però ancora avviluppata nell'indeterminatezza del suo rapporto con la UE, perché in realtà non ne era ancora parte integrante, visto che poteva essere chiamata in causa solo a seguito di decisione del Consiglio Europeo.

Un passo significativo fu compiuto nel 1999, allorché fu generalmente avvertita l'esigenza di dotarsi di una strutturazione direttiva militare, per cui si avviò un programma che portò, gradualmente, all'attuale assetto organizzativo, soprattutto dopo un ulteriore e decisivo impulso con la firma del Trattato di Lisbona nel 2009. In tale contesto, si istituì la PSDC – Politica di Sicurezza e di Difesa Comune, che normalizza la cooperazione nel settore della difesa e della gestione delle crisi e che impegna i Paesi membri a mettere a disposizione risorse e capacità, sia militari che civili, per l'attivazione di missioni ed operazioni, che devono avere la preventiva approvazione, all'unanimità, del Consiglio dell'Unione Europea. In tale contesto, l'Europa qualcosa ha fatto.

Dal 2003 ad oggi, l'UE ha condotto oltre 40 operazioni in Europa, Mediterraneo, Medio Oriente e Africa, di cui 22 sono attualmente in corso e si suddividono in 12 missioni civili, 8 militari e 2 civili-militari. La prima nel 2003 fu in FYROM-Macedonia (EUFOR “Concordia”), mentre la più longeva è quella tuttora in corso in Bosnia (EUFOR “Althea”). Volendo fare un'osservazione tecnica sulle operazioni militari, è possibile affermare che, sinora, quelle che in gergo vengono definite “operative”, nel senso che sono caratterizzate da regole di ingaggio che possono prevedere anche il combattimento, sostanzialmente sono quelle navali (Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo di Aden), mentre quelle che prevedono l'impiego di truppe terrestri, soldati e gendarmeria (per noi i Carabinieri), sono prevalentemente addestrative e/o di supporto alle Autorità locali.

Il motivo è tanto semplice quanto emblematico. Secondo la visione un po' ipocrita dei politici europei,  una nave con bandiera europea che interviene ed abbatte un drone (come nel Mar Rosso recentemente) è più “politically correct” di un soldato che, con la stessa bandiera, combatte e, magari, uccide e/o muore.

Organo fondamentale del comparto difesa dell'Unione Europea è il Comitato Militare della UE (European Union Military Committee-EUMC), consesso formato dai Vertici delle Forze Armate dei Paesi membri, che è presieduto da un Chairman (Presidente) scelto tra i Capi di Stato Maggiore della Difesa. Sinora, sono stati due i Generali italiani che hanno ricoperto tale incarico, il Gen, Rolando Mosca Moschini (2004-2006) ed il Gen. Claudio Graziano (2018-2022), sostituito da un parigrado austriaco, attualmente in carica.

Per composizione, responsabilità e funzioni, il Comitato si ispira a quello della NATO, anche se, rispetto a questo, soffre ancora di minore prestigio e di relativo peso specifico nelle vicende internazionali, anche se garantisce la consulenza militare al Comitato della politica e della sicurezza e all'Alto Rappresentante dell'UE per la Politica di sicurezza (responsabile per la politica estera della UE), oltre a sovraintendere all'operato dello Stato Maggiore dell'Unione europea, il vero motore di qualsiasi attività militare.

In tale contesto, che ha caratterizzato tutte le operazioni europee dell'ultimo ventennio, si dovrebbero inserire tutte le novità previste dal Libro Bianco “White paper for European defence – Readiness 2030”, recentemente emanato dalla Commissione UE, per cercare di fronteggiare le nuove esigenze di sicurezza prospettate dagli scenari internazionali, con particolare riferimento alla guerra russo-ucraina. Il documento individua nel confronto della UE con la Russia e la Cina la maggiore sfida per l'Europa, per cui ribadisce la vitale importanza di approcciare qualsiasi problema di difesa in maniera integrata, anche perché ammette che l'ombrello americano non è più scontato e certo come un tempo. Pertanto, riconosce l'importanza di un incremento delle spese militari e di un rafforzamento dell'industria europea della difesa. Il Libro Bianco conferma altresì il sostegno all'Ucraina, riconoscendo che la sua sicurezza si identifica con la sicurezza dell'Europa.

Peraltro, da un esame del documento emerge la considerazione che, forse, ancora una volta sia stata persa un'ulteriore occasione per definire completamente un sistema di difesa europeo pronto, efficiente ed efficace.

Infatti, non c'è la necessaria chiarezza in merito a dove reperire le risorse finanziarie per sostenere l'incremento delle spese per la difesa, così come non vengono definiti i lineamenti di governance della difesa europea, lasciando alle singole Nazioni la responsabilità di concepire e approntare il proprio strumento militare.

Un'altra lacuna è la mancata definizione di criteri e modalità con cui si dovrebbe sviluppare il rapporto tra la UE e la NATO. L'Alleanza viene riconosciuta come l'asse portante della difesa collettiva europea, ma non viene precisato quale dovrebbe essere il ruolo della UE per integrarsi con la NATO, senza indebolirla sottraendole risorse o, viceversa, scadendo in un dualismo dispendioso e rischioso.

Infine, risulta una sottovalutazione delle minacce ibride, quali attacchi informatici, disinformazione e interferenze elettroniche, che vengono citate ma contro le quali non viene definita una linea di strategia, che possa assurgere a riferimento comune per i Paesi Membri.

Emerge quindi che non è assolutamente sufficiente fare eclatanti dichiarazioni di faraonici investimenti di centinaia di miliardi di Euro, per risolvere il problema della difesa comune europea. Più di questa montagna di denaro servirebbe piuttosto una seria, determinata e comune convinzione di tutti i Paesi Membri di voler conseguire un sistema di difesa che possa funzionare e contrastare quelle minacce, che i leader politici europei continuano a paventare ai loro Cittadini.

Dal lontano 1952, che registrò gli albori della costituzione di una difesa comune europea, sono ormai trascorsi più di settanta anni, ma il Vecchio Continente non è ancora riuscito a finalizzare una propria struttura di difesa autonoma. Più o meno nello stesso periodo di tempo, la NATO (fondata nel 1949) ha nel frattempo affrontato e vinto una Guerra Fredda e ha dato vita a missioni di pace in mezzo mondo, di cui alcune di grande impegno (Iraq e Afghanistan). Soprattutto, ha saputo e voluto adeguarsi nel tempo, in termini di approccio concettuale e di dottrina operativa, in relazione all'evolversi della situazione internazionale. E' possibile che non sempre abbia azzeccato le soluzioni, ma perlomeno è sempre riuscita ad arrivare ad individuarle e ad implementarle.

E allora c'è da chiedersi quale sia la differenza tra l'Alleanza Atlantica e l'Unione Europea, visto che gran parte dei Paesi Membri europei sono praticamente gli stessi. La risposta non può essere che una sola: la presenza e la forza trainante o addirittura impositiva degli Stati Uniti nella NATO. Una risposta tanto realistica quanto avvilente, per quelle Nazioni che si vantano di appartenere a quella parte del mondo che si erge ad essere culla del mondo civile. Le stesse Nazioni che ora, con atteggiamento istericamente indispettito e per nulla pragmatico, non si rendono conto che cercare di ricucire dignitosamente uno strappo con gli USA, che potrebbe risultare per loro fatale, dovrebbe costituire la loro principale priorità.

Marcello Bellacicco