Alla Galleria Franco Noero, apre dall'11 aprile all'11 maggio la quinta personale di Robert Mapplethorpe a Torino, negli spazi di via Mottalciata e in collaborazione con The Robert Mapplethorpe Foundation.
Poco oltre il centinaio, le fotografie scelte sono del tutto inedite, mai presentate nelle mostre precedenti in galleria. Nella stanza principale sono esposte immagini scattate negli anni ’80, un periodo in cui Mapplethorpe si misura e sperimenta in particolare le possibilità date dal lavoro in studio usando fondali neri, creando immagini che restituiscono il fascino e il sapore del cinema degli anni ’30, ancora in bianco e nero ma corredato di sonoro, restituendoci quel conturbante incantesimo fatto di attesa, sorpresa, sogno e mistero che si prova nel buio della sala cinematografica.
I soggetti, che siano umani o inanimati, sono colti nell’espressiva fissità di un momento, un minuscolo frammento di tempo che resta eternamente impresso su un fondo nero e quasi privo di luce e, tramite la macchina fotografica, rende quell’attimo unico e irripetibile. L’oscurità del fondo è piena di teatralità, memore se possibile del barocco caravaggesco, in cui l’apparizione di un’immagine si risolve in una liturgia inaspettatamente immota, ferma nel tempo, che desta stupore e pathos. Sono immagini sospese nel limbo di un eterno presente, conscio però dell’esistenza costante di un inizio e di una fine.
I soggetti variano da personaggi che sono stati suoi compagni di strada, testimoni e attori come lui di un’epoca in cui la curiosità, il rischio nell’esporsi personalmente e nello spingersi al di là dei limiti del conformismo e della convenzionalità era di rigore, ai suoi amati fiori e alle torsioni del corpo che ne rivelano la sua massa fluida, la potenza espressiva dei suoi muscoli tesi. Corpi lucidi, patinati e scolpiti come marmo condividono la stessa ieraticità nelle pose dei ritratti di Patti Smith, Lucinda Childs, Laurie Anderson, Jennifer Jakobson o Lisa Lyon, ad esempio. Una cura esatta che si riflette parimenti nell’enfatizzare le sorprendenti caratteristiche di grazia, vulnerabilità, lieve gravità di peso, di indomabile geometria avvolgente e soffice, a volte al contrario solidamente spinosa, che assumono i fiori se catturati dall’obiettivo fotografico, cogliendo quelle qualità visivamente sublimi altrimenti che non necessariamente si rivelano all’occhio umano. Un papavero attorcigliato attorno al ramo di un bocciolo del suo stesso seme attraversa contorcendosi e pavoneggiando i suoi contorni di creste frastagliate il nero profondo di una foto di grande formato, che domina in contrasto la stanza principale sovrastata dal generoso lucernario con i suoi colori vividi e brillanti, come un regalo prezioso.
Nelle altre due stanze che compongono gli spazi della galleria si alternano invece immagini scattate a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, che delineano una ricerca di toni più morbidi, una scali di grigi che esalta spesso una spontanea empatia con i soggetti ritratti e che aggira quella narrativa drammaticamente ‘notturna’ della sala principale. Le foto sono a volte scattate all’aperto o su fondi che vanno dal bianco ottico al grigio argenteo, con un effetto che ricerca volontariamente un gesto o un’espressione più fluida, più libera, più attinente alla dinamicità del giorno che non alla sognante staticità delle ore notturne.
Alla mostra in Via Mottalciata si affianca la collaborazione della galleria con il progetto espositivo dell’NH Carlina di Piazza Carlo Emanuele a Torino, iniziato la scorsa Estate con Mark Handforth e due sue sculture installate tuttora nel cortile, un idrante rosso ricoperto ‘informalmente’ dalla cera colorata di candele consumate e accese e costantemente, e una delle sue tipiche panchine dal disegno essenziale la cui lunghezza di seduta e di spalliera è dettata da tavole di legno lunghe quanto l’intero fusto dell’albero da cui provengono, possibilmente una volta caduto. In continuità con il precedente intervento artistico, una serie eloquente e concisa di immagini emblematiche del lavoro di Robert Mapplethorpe accoglieranno i visitatori all’interno delle nicchie dell’ampio atrio di ingresso che conduce appunto al cortile, punteggiato da piante di limoni in ampi vasi di terracotta, dal profumo di orto concluso.