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Eventi | 22 marzo 2025, 11:17

Marcorè porta "La buona novella" al Colosseo: "De André straordinariamente attuale. Torino? Sognavo di viverci"

Dopo Gaber, Fabrizio De André: l'attore marchigiano con la passione per la musica affronta un altro mostro sacro del cantautorato italiano. "Canto perché mi diverto, ma non solo: racconto la musica"

Neri Marcorè porta "La buona novella" al Colosseo

Neri Marcorè porta "La buona novella" al Colosseo

"Uno spettacolo di un'ora e un quarto, ma talmente intenso che è come se il pubblico facesse un lungo respiro e riemergesse alla fine". Così Neri Marcorè presenta "La buona novella", con cui porta sul palco il celebre album di Fabrizio De André del 1970.

In scena martedì 25 e mercoledì 26 marzo al Teatro Colosseo, lo spettacolo - che sta per raggiungere le 140 repliche - è molto più di un concerto: Marcorè infatti interpreterà le canzoni, alternandola a momenti di musica e parole e a due monologhi. Grande protagonista uno degli album più belli e più difficili di De André, dove il cantautore genovese racconta la storia di Maria e Gesù prendendola dai Vangeli apocrifi.

Marcorè, che tipo di religiosità emerge nella "Buona Novella"?

"Faber racconta come suo solito le storie delle persone: in questo caso prende addirittura Gesù e Maria per mostrarci il loro lato terreno, i loro sentimenti come la rabbia, la paura di morire, il dolore per la perdita di un figlio, ma anche l'invidia (delle madri dei due ladroni nei confronti di Maria). L'album esprime perciò una religiosità molto umana, vista da una prospettiva che non è trascendente ma vera, più vicina a noi".

In cosa questo album è ancora attuale?

"De André è entrato nella mia vita a fasi progressive. Da bambino ascoltavo molta radio e trasmettevano le canzoni più conosciute come Marinella e Bocca di rosa. Poi, a 14 anni, mia zia mi ha regalato "La buona novella" e io non l'ho capito... ma evidentemente è un seme che poi è germogliato. Ecco, penso che il punto sia proprio questo: i temi trattati sono talmente universali che è difficile non riconoscersi, davvero parlano dei sentimenti di tutti noi, anche se mai in modo rassicurante. De André parla delle minoranze, degli ultimi, degli emarginati. E come fanno i grandi artisti ci dà una prospettiva diversa sulle cose, ci obbliga a riflettere. Il problema di questi brani, semmai, è non capirli a fondo, non cogliere il messaggio, come era successo a me da piccolo. Sono brani profondi che richiedono un ascolto attento".

Come mai la scelta del teatro-canzone? Si sente più cantante o attore?

"Io sono un attore, ma canto perché mi diverto, perché mi piace. Con Giorgio Gallione, il regista, avevamo già fatto un gran lavoro su Giorgio Gaber, poi culminato con lo spettacolo 'Un certo signor G'. Ecco, lui è il vero re del teatro-canzone. Adesso sempre con Gallione affrontiamo De André con uno spettacolo che mi consente di spingere su entrambi i pedali: da una parte quello di cantante, dall'altra quello di attore/interprete. D'altra parte alcune cose si trasmettono meglio attraverso la canzone, altre attraverso il monologo. E 'La buona novella' ha già di suo un taglio esplicitamente teatrale".

Ecco, i monologhi che interpreta, di cosa parlano?

"Uno è sulla giovane Maria: è una riflessione sulle scelte che altri fanno per noi, lei è una bambina che non ha potuto decidere. L'altro è più scherzoso perché parla dei miracoli che Gesù fa in adolescenza, come quando faceva cadere i suoi amici perché pensava che tutti potessero cavalcare i raggi di sole".

La canzone più nota dell'album è 'Il testamento di Tito', dove l'autore ripercorre i 10 Comandamenti facendoli enunciare a uno dei due ladroni crocifissi con Gesù. Quali versi trova più significativi?

"Difficile sceglierne uno, sono tutti molto attuali, condivisibili. Forse il mio preferito è il quinto comandamento: 'Non devi rubare, e forse io l'ho rispettato, svuotando in silenzio le tasche già gonfie di quelli che avevan rubato'. E' un po' Robin Hood ed è molto vero, molto bello. Ma a pensarci bene anche il comandamento Non uccidere, forse il più attuale: quante ne vediamo oggi di persone pie che pregano in chiesa e ammazzano fuori? Penso a certi politici che si dichiarano cattolici e poi lasciano persone fuori dalle coste per poi usarli come leva per la campagna elettorale".

Marcorè e Torino, un binomio vincente

"Beh sì, in questa città ho girato il mio primo film, "Zamora", e non solo perché la Film Commission funziona benissimo. Torino mi piace moltissimo, la frequento quando faccio gli spettacoli in tournée ma non solo. Io e mia moglie avevamo accarezzato l'idea di trasferirci qui quando i figli erano nell'età giusta, tra le medie e il liceo, anche se poi è rimasto un sogno irrealizzato. Questa città è incredibile: se ti viene voglia di un po' di verde, c'è la collina; volendo dalla campagna in un quarto d'ora sei in piazza Vittorio. Il difetto è che è un po' decentrata: io sono abituato alle Marche e poi a Roma, ma è anche vero che oggi i trasporti permettono di spostarsi velocemente".

E il pubblico?

"Quello torinese è molto attento, è stimolante esibirsi qui. Mi sono sempre sentito apprezzato e capito. In generale, per questo spettacolo l'età media è tra i 45 e i 55 anni. Non manca poi la fascia dei più maturi, ma nemmeno quella dei ragazzi e ragazze, probabilmente spinti dai genitori, che si accostano a qualcosa che probabilmente ancora non conoscono. E questo è molto bello".

INFORMAZIONI

Martedì 25 e Mercoledì 26 ore 20.30
Teatro Colosseo, via Madama Cristina 71
tel. 011.6698034, www.teatrocolosseo.it

Daniele Angi

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