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Cultura e spettacoli | 09 marzo 2025, 11:13

Luca Zingaretti a Torino per presentare il suo primo film da regista: "Vorrei tornare presto, magari produrrò qualcosa di mio" [INTERVISTA]

"La casa degli sguardi" in anteprima domani sera al Cinema Romano è il debutto dell'attore dietro la telecamera: "Avevo l'urgenza di raccontare la storia, spero sia un punto di partenza perché è stato davvero esaltante"

Luca Zingaretti a Torino per presentare il suo primo film da regista: "Vorrei tornare presto, magari produrrò qualcosa di mio" [INTERVISTA]

“La casa degli sguardi” è il primo film come autore e regista di Luca Zingaretti. L’anteprima sarà domani sera al Cinema Romano alle ore 20. Era già un po’ di tempo che Zingaretti aveva l’urgenza di mettersi dietro la telecamera e l’adattamento del libro di Daniele Mencarelli era l’occasione giusta. 

“Erano anni che volevo delle storie per debuttare alla regia - spiega Luca Zingaretti -. Quando ho letto questo libro mi sono sentito di fare il grande salto. È una storia che mi ha colpito perché parla di una vicenda che riguarda noi, della capacità di dare ordine alla propria esistenza, con la vicenda di questo ragazzo che sente le cose in maniera abnorme”.  

La trama ruoto intorno alla storia di Marco, 20 anni e una grande capacità di sentire, avvertire ed empatizzare con il dolore del mondo, scrive poesie, e cerca nell’alcool e nelle droghe “la dimenticanza”, quello stato di incoscienza impenetrabile anche all’angoscia di esistere e di vivere.

“Il film porta con sé di tanti temi che mi stanno molto a cuore. Parla di dolore non in termini negativi, ma come di qualcosa che la società ha bandito, c’è una demonizzazione del dolore che tuttavia non non può essere disgiunto dalla felicità, sono entrambi necessari. Ma è anche un film sull’amore, sulla famiglia, sul lavoro che ti radica e ti identifica. Spesso e volentieri ce lo dimentichiamo”. 

Come si fa a rivedere il dolore come strumento per raggiungere la felicità in una società che appunto tenta di nascondere il dolore? 

“Credo che occorre ripensare al nostro modo di vivere. Il mondo si è fermato durante la pandemia, in assenza di rumori sono venute fuori problematiche che erano nascoste dal brusio della vita. Ci siamo accorti grazie o a causa di questa interruzione che certi problemi non erano più rimandabili. Come se ci fossimo messi a guardare la nostra corsa, in questa corsa anche il dolore, che non serviva perché era qualcosa che ti impediva di correre, era stato bandito. Riappropriarsi del proprio essere umano può essere una via di partenza. Personalmente, mi mettono paura i social, ma anche l’IA che è già qua da dieci anni, come la stravolgerà la nostra vita? Come cambierà l’essere umano? Forse dovremmo ripartire da questi interrogativi”. 

Come è stata questa prima volta dietro la telecamera e si tratta di un nuovo punto di partenza? 

“Spero sia un punto di partenza, perché ho capito che questa urgenza che da circa dieci avevo si è rivelata un’urgenza reale, autentica. Mi sono trovato a fare il regista, tra mille difficoltà, ma è come se l'avessi sempre fatto. Conoscevo già le risposte quando si presentava un problema, ma ho visto anche tante cose nuove. Quando sei dall’altra parte, non ti rendi conto di cosa vuol dire girare un film. A teatro chi narra la storia è sempre l’attore, al cinema è il regista. È lui che detta i tempi, cosa sottolineare, cosa no. Ho sentito il bisogno di passare a raccontare io la storia, ma è stato talmente esaltante”. 

L’anteprima sarà a Torino domani sera, come la fa sentire tornare in questa città cui è legato sia dal punto di vista lavorativo che personale? 

“Avendo una certa età mi ricordo tre fasi di Torino. Quella di città operaia, dove c’era una medio alta borghesia che frequentava il centro e gli operai che frequentavano la zona del Lingotto. Era una città molto elegante, per pochi. Poi c’è stata la Torino della crisi dell’auto, depressa, con tanti musi lunghi, lo sentivi che c’era una città affetta dalla depressione. E poi c’è stata la Torino della rinascita. Si pensava fosse solo un fuoco d’artificio, ma ancora oggi continua e migliorare sempre di più. All’epoca feci un film insieme a Margherita Buy con la regia di Roberto Feanza, e lì pensai di venire a vivere, già allora la qualità della vita era altissima. L’ho poi vissuta per due anni con le riprese de Il Re. Se dovessi lasciare Roma sarebbe proprio per Torino. Per tanti motivi, per la cortesia delle persone, per la ricchezza degli eventi e delle cose da fare, per quello che ti offre dal punto di vista della cultura. E poi c’è lo sport, il cibo, il vino. Oggi come oggi, è uno dei posti in cui vivere in Italia. È un posto italiano che ha tratti in comune con altre città, ma è abitata da persone che fanno della gentilezza il centro di tutto”. 

Anche per quanto riguarda il cinema si sono fatti passi in avanti? 

“Quando si veniva a girare si veniva con tutta al troppe di Roma, adesso puoi venire con la maglietta e i pantaloncini perché trovi tutto dal punto di vista di mezzi e di maestranze. È ormai la seconda capitale del cinema. È stata lungimirante, anche grazie alla Film Commission che lavora divinamente. Torino è riuscita a modernizzare e a offrire al tempo stesso sempre di più per chi viene in città, senza perdere le sue caratteristiche distintive. È una città elegante, non è una cosa che trovi ovunque”.

La rivedremo quindi presto di nuovo a girare in città?

“Per il momento no, ma spero che si presentino delle opportunità il prima possibile o magari le promuoverò io, chissà. Purtroppo non è stata rinnovata la terza stagione de Il Re, ci sono rimasto male, anche se non credo che saremmo tornati a girare nella stessa location di Torino.Comunque, mi manca, è due anni che manco e mi manca tutto, dagli amici al mio maestro di tennis”. 

Chiara Gallo

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