Alla Gam Torino, se si passeggia tra le sale della mostra su Berthe Morisot e in quelle del Deposito Vivente, si noteranno degli “intrusi”. Vere e proprie opere d’arte, come tappeti o carte da parati fiorite, che accompagnano il pubblico nella visita, creando un confronto attivo tra artisti.
Sono le opere di Stefano Arienti, il primo Intruso chiamato dalla Gam per interagire con le proprie collezioni e con gli allestimenti temporanei.
Con una laurea in Agraria, quello di Arienti non è stato un percorso tradizionale o lineare nel mondo dell’arte. “Ho fatto professioni differenti - ci racconta - ho insegnato, ho lavorato su commissione, insieme altri artisti, architetti, designer, in un contesto pubblico e persino in quello religioso”.
Con questo bagaglio, si è confrontato e ha dialogato con l’impressionista Morisot. Come è stata questa esperienza?
“Amo l’Impressionismo, con cui mi ci eri già confrontato. Non conoscevo molto Berthe Morisot anche perché vedere delle sue opere non è facile. Poterla conoscere e apprezzarla da vicino, l’ho fatto con grande piacere”.
Anche il Deposito Vivente ha visto il suo passaggio. Cosa ne pensa di questo dialogo tra la sua arte e quella del passato?
“Ho potuto ficcanasare per così dire nella parte del Deposito. Per me l’idea che l’arte di adesso, che è un’arte viva con cui possiamo avere un confronto diretto, possa dialogare con quella del passato, è molto importante. In questo modo resta più accessibile e viva. Coinvolgere artisti viventi come ha fatto la Gam, dà vivacità a un patrimonio che non dobbiamo pensare come a qualcosa di statico e imbalsamato”.
Qual è l’ambiente che le ha creato più difficoltà?
“Lo spazio che mi ha dato più soddisfazione è sicuramente quello dell’area di riposo al secondo piano, adiacente al Deposito Vivente e l’allestimento della collezione vera e propria. È una zona di passaggio e l’ho allestita recuperando alcuni arredi, un grande tappeto che serve per rendere vivibile quel soggiorno”.
Lei è anche un grande appassionato di musica, se avesse dovuto scegliere una colonna sonora per questi ambienti quale sarebbe stata?
“Per il piano di Berthe Morisot, avevamo valutato di coinvolgere degli esperti di musica di fino Ottocento un po’ domestiche, in modo da accompagnare il pianoforte in mostra. Poi abbiamo rinunciato perché era più complesso del previsto”.
Torino è una città che dal punto di vista culturale sta affrontando grandi cambiamenti. Cosa ne pensa di questo suo nuovo volto?
“È una città in enorme trasformazione, anche demografica, e con cui rapporto speciale iniziato nell’'87 quando feci la mia prima esposizione alla Galleria Guido Carbone. Qui ho lavorato tanto, conosco bene la città e le persone. A Torino si è sviluppata l’Arte Povera e questa nuova veste mi piace molto, anche nei dintorni. Il paesaggio è ancora non troppo intaccato dall’industria forte. È un attimo che si può andare ovunque, dal mare alle montagne, è incredibile”.