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Economia e lavoro | 28 gennaio 2025, 07:30

Non solo automotive, la cassa integrazione sta divorando anche il mondo dell'artigianato: +62%

Nel 2024 le imprese artigiane del Piemonte che hanno beneficiato della cassa integrazione sono state 4.666 con il coinvolgimento di 26.110 addetti

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La crisi colpisce da vicino anche il settore artigiano: nel 2024 la cassa integrazione è esplosa

Non è soltanto il mondo dell'auto a pagare dazio, quando si parla di crisi economica sul territorio torinese e piemontese. La conferma arriva dal ricorso alla cassa integrazione, che nel corso del 2024 è cresciuta addirittura del 62% per il comparto artigiano.

Non solo automotive

Di certo, quella dell'auto è la punta di un iceberg che sta lentamente trascinando in basso anche tutti quei settori che si trovano in comunicazione e che, di riflesso, vedono peggiorare il proprio giro d'affari. A questo, però, si aggiunge anche il lento diminuire dell'effetto Superbonus, insieme alle difficoltà che toccano il settore del lusso (moda, soprattutto) o trasporti e logistica. 

I dati dicono +62%

Secondo Ebap (Ente Bilaterale Artigianato del Piemonte), gli interventi di cassa integrazione attraverso FSBA (Fondo di Solidarietà Bilaterale per l’Artigianato) hanno visto un impegno complessivo, da gennaio a novembre 2024, di 8.878.777,14 euro , per un aumento del 62% rispetto allo stesso periodo del 2023 (5.480.904,18 euro lordi).

Nel 2024 le imprese artigiane del Piemonte che hanno beneficiato della cassa integrazione sono state 4.666 con il coinvolgimento di 26.110 addetti.

 

Soffre soprattutto Torino

A livello provinciale nel 2024 a Torino sono 2.125 le imprese (11.687 addetti) che hanno utilizzato la cassa integrazione; 601 ad Alessandria (3.288 addetti); 465 a Biella (2.906 addetti); 426 a Cuneo (2.729 addetti); a Novara 420 (2.161 addetti); Asti 228 (1.235 addetti), Verbano 222 (1.159 addetti); Vercelli 179 (945 addetti).

 

I dati forniti dall’EBAP sono più che eloquenti – commenta Giorgio Felici, presidente di Confartigianato Piemonte - e la dicono lunga rispetto allo stato di salute dell’artigianato, un universo costituito da micro e piccole imprese che rappresenta il 98% del tessuto produttivo e che sta attraversando un periodo di profonda crisi ed incertezza”.

 

L'analisi comparto per comparto

I comparti che hanno registrato una maggiore richiesta di intervento in termini di cassa integrazione sono in assoluto la produzione e lavorazione di metalli, più in generale la meccanica di precisione,  il tessile e l’abbigliamento. 

 

Il forte calo della produzione di macchinari va imputato in parte alla minor domanda da parte della Germania (nostro primo importatore) – continua Felici - in parte alla significativa crisi degli investimenti e in parte alla crisi dell’automotive, mentre il tessile ha subito un calo per la concorrenza cinese e lo stop all'export in Russia”.

Per la crisi del settore Moda, intervengono molteplici cause: - precisa Felici- dalla difficoltà di approvvigionamento delle materie prime che ne ritardano la produzione, all’aumento dei costi dell’energia e dei trasporti, fino al boom dell’e-commerce che ha messo in difficoltà soprattutto le aziende artigiane meno strutturate e non in grado di digitalizzare i processi produttivi e commerciali, perdendo di competitività. Inoltre, nella ripresa post Covid alcune imprese hanno investito in attrezzature e macchinari e in occupazione, per poi veder crollare le commesse proprio in una fase di eccessiva esposizione finanziaria. Sono inoltre cambiate le abitudini di consumo e la domanda di prodotti di lusso e di alta qualità su cui l’artigianato piemontese e italiano rappresentava l’eccellenza. Il consumatore ha modificato anche la sua sensibilità nei confronti della sostenibilità che per le aziende si traduce in costi più elevati. Bene il fondo per il settore Moda, ma forse andrebbe esteso a tutta la manifattura”.

“Per il settore della Meccanica e Automotive, le problematiche sono analoghe a causa del precario equilibrio geopolitico, -conclude Felici - con l’aggravante della crisi dell’industria tedesca che ne ha compromesso l’export con una contrazione di -7,5 rispetto ai primi nove mesi del 2023. A questo si aggiunge l’effetto della sconsiderata direttiva UE sui veicoli elettrici che, per mantenere le proporzioni, a fronte della mancata vendita di questi impone alle case automobilistiche di ridurre la produzione di veicoli a motore endotermico. Le spinte inflazionistiche e l’alto costo del lavoro, inoltre, hanno impattato sui costi operativi e sulla capacità di trattenere personale qualificato, peraltro di difficile reperimento”.

Massimiliano Sciullo

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