Un quarto di secolo trascorso a coltivare talenti, ad accompagnare la loro crescita, a trasformare idee e intuizioni in business. Tutto questo è I3P, l'incubatore del Politecnico che celebra 25 anni di attività.
Un quinquennio in crescita
"Raccontare le nostre start up è un modo per accreditare gli aspiranti imprenditori anche di fronte agli investitori - dice Giuseppe Scellato, presidente di I3P da cinque anni -. È stato un quinquennio di crescita, in cui abbiamo contribuito allo sviluppo di tutto l'ecosistema locale. E i nostri risultati vogliamo che siano misurabili: abbiamo accompagnato oltre 500 società alla costituzione, di cui 110 sono state prese nel nostro percorso di incubazione. E hanno raccolto poco più di 160 milioni di euro, uno dei risultati migliori nella fase di partenza nel nostro settore".
Tutti vogliono Torino
Tanti i progetti, "ma alcuni sono particolarmente a rischio fallimento. È qui che interviene la nostra missione pubblica, per dare loro sostegno. E siamo soddisfatti perché una parte non trascurabile di start up che abbiamo assistito sono venute a Torino dopo essere nate altrove".
La spinta dell'Aerospazio
L'aerospazio è l'esempio più calzante. "Il 30-40% arriva da fuori Italia, perché qui sono presenti i principali player aerospaziali. Senza paragoni in Italia e con poche similitudini in Europa".
Ma un'altra verticale che si sta affermando sempre di più è l'intelligenza artificiale applicata alle imprese.
Investire senza una "targa"
Torino ci crede? "Secondo noi sì: una porzione degli investimenti arriva da privati e business angels. Risorse ce ne sono. Abbiamo fatto accordi con realtà locali come Club delgi Investitori. Ma anche fuori Torino stiamo creando legami, da Milano all'Emiia Romagna. Non possiamo limitarci a Torino".
Chi non ce la fa
Ma ci sono anche start up che non ce la fanno. "Può succedere che non ci sia il mercato cui pensavano di proporsi. Ma molte sviluppano anche prodotti che non si rivolgono a consumatori finali, ma solo vendere il proprio servizio ad altre aziende già strutturate. Se manca questo passaggio, la start up muore. E se negli Usa c'è questo rapporto, in Europa meno e in Italia ancora meno. Il tasso di sopravvivenza a 5 anni è del 70-75%".
Ma si sta lavorando anche sull'altro versante: "Abbiamo lanciato programmi di open innovation per avvicinare le grandi aziende alle start up. Parliamo direttamente con gli amministratori delegati o loro rappresentanti. E poi, su loro missione, cerchiamo le start up più adatte alle loro necessità, in cambio dell'impegno a finanziare un progetto. Noi facciamo da cerniera".
Errori tipici
Non mancano gli intoppi. "Spesso l'alta confidenza nella performance tecnologica non si sposa bene con quel che chiede il mercato in maniera effettiva", dice Scellato.