Era già successo quasi una ventina d'anni fa, allorché nel 2006, dopo un'altra situazione conflittuale tra Israele ed Hezbollah, venne addirittura approvata una nuova Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, la nr. 1701 che, nei suoi lineamenti principali, ricalca quanto sottoscritto poche ore fa tra le stesse due parti, per porre fine ai combattimenti.
In pratica, allora come oggi, l'accordo prevede che, a sud del Fiume Litani, sino alla linea di confine con Israele, le uniche armi autorizzate dovrebbero essere quelle dell'Esercito libanese e quelle di UNIFIL, la Forza ONU presente ormai da decenni. Un impegno che, in questi anni, non è mai stato assolto né dalle Forze Armate di Beirut né dalla Forza Internazionale, visto che l'ala armata di Hezbollah, non solo non ha lasciato l'area, ma ha rinforzato notevolmente le sue posizioni, al punto da riuscire a fronteggiare le ben più forti unità dell'IDF-Israel Defence Force, come ha fatto in queste settimane.
E ora siamo di nuovo al punto di partenza. La tregua, che peraltro ha validità solo per i prossimi 60 giorni, dovrebbe trovare la propria stabilità nel fatto che, nei prossimi due mesi, i combattenti di Hezbollah dovrebbero allontanarsi di 40 km dal confine israeliano, mentre le Forze di Tel Aviv dovrebbero rientrare entro i propri confini.
Ma già sembra che, poche ore dopo la firma della tregua, l'Amministrazione americana si sia affrettata a fare un sano distinguo a favore di Israele, precisando che il suo ritiro può avvenire in un secondo momento. E questa sarebbe già una bella mina messa sulla via del rispetto degli accordi sottoscritti. La seconda potrebbe essere quanto dichiarato dal Premier Netanyahu “se Hezbollah viola l'accordo e tenta di riarmarsi, colpiremo”, con buona pace per UNIFIL e l'Esercito libanese, che dovrebbero essere i principali ed unici garanti. Quindi, se gli Sciiti sgarrano Israele si arroga il diritto di colpire, mentre Tel Aviv già a priori non rispetta quanto concordato, rimanendo in territorio libanese.
C'è da chiedersi come si possa pensare che la tregua possa reggere e, ancor meno, come possa costituire un primo passo verso una pacificazione.
E allora, per quanto ci si può lecitamente aspettare che il cessate il fuoco possa durare?
La risposta probabilmente l'ha data lo stesso Netanyahu nella conferenza stampa in cui ha spiegato i tre motivi per cui ha acconsentito alla firma della tregua. “Bisogna concentrarsi sulla minaccia iraniana, far rifiatare le forze e rifornirsi di armi e munizioni e separare i fronti, isolando Hamas”. Non ci ha girato tanto intorno. Praticamente, dopo più di un anno di combattimenti, prima nella Striscia di Gaza e poi anche in Libano, Israele deve rifiatare, riordinare le forze, ripianare gli arsenali e ripianificare le sue operazioni, magari confidando in un rinnovato e ancora più concreto aiuto americano, come avrebbe già promesso il prossimo Presidente USA Trump.
Da notare che gli Stati Uniti si sono anche premurati di precisare che non ci sarà neanche un soldato a stelle strisce impiegato a garanzia di questo accordo, dimostrando di avere ben chiaro quanto sia impestato e rischioso questo teatro operativo, per cui meglio lasciare la patata bollente a chi, come l'Italia, c'è già invischiato.
A riprova di tutto ciò, è anche il fatto che l'accordo siglato con Hezbollah sia stato approvato solo a livello di Gabinetto della Presidenza e non sia stato posto all'attenzione né del governo e tanto meno della Knesset (Parlamento), dando così l'esatta sensazione di quanto sia a tempo determinato la sua validità. La percezione che emerge è che, per Netanyahu, il vero aspetto importante di tutta la questione sia l'approccio permissivo americano, che permetterà a Tel Aviv di intervenire, soprattutto con i suoi aerei, come, dove e quando lo riterrà opportuno e necessario.
Gli stessi cacciabombardieri che, sino a pochi minuti prima dell'entrata in vigore della tregua, hanno messo a ferro e fuoco alcuni quartieri di Beirut, cercando di distruggere, sino all'ultimo, qualsiasi struttura di Hezbollah, comprese le sue banche che detengono le risorse finanziarie. E nel mentre, le forze di terra hanno raggiunto il Fiume Litani, spingendosi quindi all'interno del Libano meridionale, in modo da togliere spazio di manovra alle formazioni sciite.
Dalla parte del Partito di Dio, oltre a riorganizzare le forze, questa pausa servirà soprattutto per ricostituire la propria struttura di leadership, sia politica che militare, che esce da due mesi di guerra decisamente più a pezzi delle formazioni combattenti le quali, pur subendo perdite, hanno dimostrato di poter resistere efficacemente alla pressione israeliana, evidenziando una consistenza ed una preparazione ben superiori a quelle di Hamas.
Ma probabilmente, l'aspetto più significativo ed importante delle prossime settimane che riguarderà Hezbollah, sarà l'atteggiamento che assumerà l'Iran. Infatti, sarà interessante verificare se e come Teheran, già pesantemente ingaggiata direttamente nella lotta contro Israele, vorrà e sarà in grado di supportare il movimento sciita libanese. Già nelle scorse settimane, combattimenti durante, i Capi di Hezbollah avevano lamentato una certa latitanza iraniana nel supportare la loro lotta, per cui diventa focale, anche per gli sviluppi futuri della situazione nell'area, accertare se i rifornimenti dall'Iran arriveranno e in che misura. Rifornimenti che, sicuramente, saranno sotto l'attenzione dell'Aeronautica israeliana.
Una conseguenza significativa per la Regione questo accordo tra Hezbollah e Israele, nonostante la sua estrema labilità, lo sta comunque determinando, perlomeno nella Striscia di Gaza. Infatti i rappresentanti di Hamas hanno affermato di essere pronti a loro volta a trattare per una tregua e, addirittura, per uno scambio di prigionieri ed ostaggi.
Anche in questo caso, Netanyahu avrebbe tutto l'interesse a firmare, perchè gli consentirebbe di rifiatare anche su questo fronte e, soprattutto, gli darebbe la possibilità di giocarsi una seria chance per risolvere il più grosso problema interno che lo assilla: gli ostaggi ancora in mano ad Hamas. Ma c'è da scommettere che, conseguiti questi suoi obiettivi tattici, sarà più pronto che mai a riprendere il lavoro interrotto, con la stessa determinazione di doverlo portare a termine con qualsiasi mezzo. Questo, nella più completa noncuranza di tutti i Tribunali Internazionali e dei loro provvedimenti, con la colpevole complicità di gran parte del mondo occidentale.