Europa Centrale è l’opera prima di Gianluca Minucci presentato in concorso tra i lungometraggi al 42° Torino Film Festival.
Un film che si svolge in un unico ambiente, un Kammerspiel metafisico sulla lotta politica, il tradimento e la paranoia, ambientato in un viaggio in treno di una coppia di comunisti a cui è stata affidata dal Comintern un’importante missione nell'aprile del 1940.
Come è nata l’idea di questo soggetto?
“L’idea nasce dall’unione di tre elementi: una visita al Museo dei Treni di Budapest, il fatto che io sia insegnante di storia e letteratura italiana e il mio particolare interesse verso i totalitarismi. Un ottimo mix per creare un film paranoico. C’è un po’ di Gianluca nelle emozioni archetipiche, ma se si ha il coraggio di guardare dentro di sé sono quelle che ha ognuno di noi: desiderio, ambizione, invidia. Non parlo di un riflettersi in toto, ma è proprio l’emozione che muove quei personaggi che a volte bisogna tenere a bada. Io non sono né fascista né stalinista, sono un social democratico, ma per ritrovare quella paranoia, per mettermi nei panni di un fascista o uno stalinista, ho dovuto recuperare delle emozioni del passato, sui cui ho lavorato molto, ma che mi avevano reso molto sospettoso nella vita in generale”.
Le scene sono tutte in un ambiente strettissimo, un treno storico, com'è stato girare tutto il film in spazi simili?
“È stato una tortura fisica, 12 ore a girare dentro carrozze originarie di inizio Novecento, tutte strette, senza aria condizionata, che è necessaria dove si trovano proiettori potenti, con questa moquette originale piena di polvere. Il sudore che si vede è anche sudore vero. Indubbiamente, ha aiutato a creare una bolla storica immaginifica, quasi leopardiana, di quello che poteva essere il carattere nei personaggi”.
Un film si riferisce al passato, ma si riflette anche ai giorni nostri?
“È come un telescopio puntato sull’oggi. Ci sono fortissimi richiami, basta anche guardare un certo tipo di linguaggio. Putin che definisce l’Ucraina una cricca di drogati e nazisti, Netanyahu che parla di spazio vitale, insomma è chiaro che ci sono dei forti richiami all’oggi soprattutto verso le credenze totalitarie”.
Olga, la bambina che dovrebbe essere il personaggio più innocente, che invece si rivela tutto l’opposto, cosa rappresenta?
“È la persona che tiene le fila di tutto, è il burattinaio. È forse l’unica vera dura e pura stalinista. Potrebbe essere una giovane Putin al femminile anche nei lineamenti. Si dimostra il demonio per eccellenza e anche nel finale non poteva che restare viva lei”.
Torino compare nel film, è la fermata dove dovrebbe scendere Julia, perché ha voluto inserire questa tappa?
“Ci sono molto affezionato a Torino, qui è dove ho seguito il primo film da assistente alla regia. Ero aiuto regista di Gianluca Mizzi. Ero un pessimo assistente, però quell’esperienza mi ha donato tantissimo. A Torino, nel film c’è il primo bacio dei due protagonisti, ma è stato anche il mio primo bacio al cinema”.
Come ha vissuto questo Festival?
“L’ho trovato febbrile, ho goduto a vedere le file davanti ai cinema, amo l’impostazione di Base di avere giovani selezionatori e selezionatrici. Mi piace questa apertura che non è solo divismo, perché riporta la gente al cinema facendo vedere i film di queste star. È una cosa bella che si sta perdendo, ma che si sta rivedendo al TFF”.