Non conosciamo il nome della giovane studentessa dell’Università Islamica di Teheran arrestata dalla polizia morale perché indossava in maniera “non conforme” l’hijab, manifesto dell’oppressione del regime iraniano contro le donne.
Il suo gesto rappresenta un atto di rivolta contro ogni oppressione e progetto di censura della libertà delle donne. Un gesto che fa rumore, mentre si vorrebbe invece imporre – anche nel nostro Paese - il silenzio sulle violenze di genere e sui femminicidi, di cui sempre meno si parla se non come meri fatti di cronaca. Da qualche giorno, quella donna, che abbiamo scelto come simbolo del nostro 25 novembre, è stata liberata. È una gioia, per tutte e tutti!
Nelle principali sedi della CGIL di Torino è stato issato uno striscione che celebra il coraggio di quella donna e di tutte le donne che denunciano, si agitano, prendono parola, lottano per i propri diritti e si ribellano per una società più sicura e più giusta.
Per ribadire l’urgenza di battere una cultura patriarcale che è ben lungi dall’essere sconfitta.
Donna, vita, libertà.
La mistificazione del Ministro dell’Istruzione Valditara non ha agibilità nei fatti. L’educazione sessuale ed affettiva rappresenta uno strumento potente per promuovere il rispetto reciproco, decostruire stereotipi di genere e contrastare la cultura del possesso e della sopraffazione: in altre parole a combattere la cultura patriarcale di cui il Ministro nega l’esistenza!
La scuola è la base di ogni struttura sociale e di ogni azione di contrasto alla violenza contro le donne, anche nella nostra città.
Alle mistificazioni rispondiamo con i dati.
Le forme più gravi di violenza contro le donne sono agite da partner o ex partner (58% dei casi) parenti (17,5%) o da amici e conoscenti (15%). Nel 2,2% dei casi è il luogo di lavoro il contesto in cui i femminicidi hanno luogo.
Gli stupri sono commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici.
Anche le violenze fisiche sono per la maggior parte opera dei partner o ex, aggravati da un contesto, quello italiano, in cui l’uso spregiudicato di un linguaggio maschilista, violento e non inclusivo promuove a sua volta la negazione e la rimozione di comportamenti inadeguati e violenti.
Nel 98% dei casi il femminicidio è perpetrato da uomini e di questi l’89% sono partner o persone della stessa famiglia della vittima. La violenza è dunque agita all’interno della famiglia e delle relazioni familiari e amicali. Soltanto nel 25% dei casi le violenze sono commesse da uomini stranieri, lasciando agli italiani il triste primato. Sono piuttosto le donne straniere a subire un numero maggiore di violenze, per tipologia e per incidenza.
Affermare che tutto ciò sia il portato della sconfitta del patriarcato è semplicemente capovolgere la realtà. Occorre piuttosto intervenire con decisione per contrastare le discriminazioni contro i generi e ogni diversità, anche etnica, che le persone subiscono nei luoghi di lavoro e nella società, a partire da quelle salariali e di progressione di carriera. Dall’autonomia economica passa l’autodeterminazione e la libertà di scelta delle persone e tra queste delle donne.
La contrattazione è lo strumento principe che definisce il ruolo del sindacato: aver inserito, in importanti contratti nazionali, clausole di maggior favore per proteggere il diritto al lavoro delle donne vittime di violenza è una conquista che ha saputo dare risposte tangibili.
È di fondamentale importanza proteggere i percorsi di ricollocazione e di inserimento nel mondo del lavoro delle vittime e promuovere azioni positive nei confronti di chi paga due volte la violenza, gli orfani di femminicidio.
Dai dati INPS, relativi al 2022, sappiamo che il lavoro femminile è infatti anche a Torino spesso collocato nei settori con le retribuzioni più basse e le condizioni più precarie.
È femminile il part time involontario, pari al 68% dei casi, come, nella quasi totalità dei casi (il 98%) le dimissioni volontarie legate alla difficoltà di conciliare tempo di vita e tempo di lavoro riguarda le donne.
Queste percentuali rappresentano quanto l’attuale mercato dell’occupazione sia incapace di offrire opportunità di crescita e stabilità economica per le donne.
Donne che, come lavoratici dipendenti non riescono a infrangere il tetto di cristallo e che rappresentano in città soltanto il 20% dei posti dirigenziali e il 30% dei quadri intermedi, pur rappresentando quasi il 50% del totale della forza lavoro.
Gli effetti di questa distorsione si ripercuotono anche sulle pensioni: si calcola che la differenza dell’importo delle pensioni tra uomini e donne arrivi anche fino al 6o%. La ragione sta nella diversa qualità della carriera durante l’intero arco della vita professionale.
Tutto ciò costituisce il terreno in cui, se la violenza è agita, è molto più difficile denunciare, reagire, ribellarsi, battersi per la propria dignità e la propria stessa esistenza. Siamo impegnate e impegnati a cambiare questa condizione, colonna su cui si basano che tutte le discriminazioni. Abbiamo lottato e lotteremo contro ogni forma di oppressione e di attacco al corpo delle donne.
Lo abbiamo fatto insieme alle femministe torinesi sulla vicenda della Stanza dell’Ascolto, fantomaticamente aperta presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino e ora finalmente chiusa. Continueremo a farlo per difendere il diritto alla libera scelta e all’aborto libero e sicuro.
LA CGIL Torino rivendica il diritto delle donne ad essere autonome e indipendenti economicamente, libere, felici, serene.