26 agosto 1950, l’ultimo, frenetico giorno di vita di Cesare Pavese. Il poeta si aggira per un Torino deserta, cerca amici che non trova, scrive, telefona. La domenica sera mette fine alla sua vita.
Con questa immagine si apre il documentario-film di Giovanna Gagliardo, Il mestiere di vivere, dal titolo dell’opera dello stesso scrittore, in concorso nella categoria documentari al 42° Torino Film Festival.
Che cosa rappresenta per lei Cesare Pavese?
“Sono cresciuta a Torino, quando ero adolescente, Pavese era morto da una quindicina di anni, ma era già un mito” spiega la regista. - È stato il poeta del mio Piemonte, delle mie langhe, della mia giovinezza. La mia vita poi ha preso altre strade, ora vivo a Roma da una decina d’anni. Da ormai tanti anni faccio documentari, mi sono lasciata sedurre dall’invito di chi mi conosceva e sono andata a spulciare i libri di Pavese che leggevo. Ho scoperto un altro Pavese rispetto a quello che ricordavo. Era più interessante e più moderno di quanto pensassi. Ha fatto molte altre cose, dalla Einaudi alle traduzioni dall’inglese, fino alla poesia narrativa e al mondo femminile”.
Qual è l’opera che più ama?
“È ne Il mestiere di vivere che Cesare Pavese mostra l’uomo oltre l’artista. Entri in contatto con una persona travagliata che non ha paura di confrontarsi con i suoi limiti. Poi mi piacciono quasi tutte le poesie, dove il ritmo è fondamentale e bellissimo. Nei titoli di coda ho inserito una poesia, Due sigarette. Ci farei un corto. È meravigliosa”.
È stato difficile recuperare il materiale di repertorio?
“Le vecchie interviste, alcune molto interessanti, come quella della Pivano, me le ha date la Fondazione Cesare Pavese. Poi ho scartabellato nell’archivio nostro, quindi abbiamo Torino durante la guerra e i bombardamenti, e poi dopo nel ’45. L’intervista a Mila, l’abbiamo avuta dall’Institut national de l'audiovisuel perché non ne avevamo in italiano”.
Come ha scelto le musiche?
“Ho acquisito alcune canzoni, come Il Nilo blu, per ricreare quelle scene con balli a palchetto, tipici delle feste popolari, ecco in generale avevo l’idea di evocare un’epoca più che di ricrearla”.
È un autore che riesce a parlare alle giovani generazioni?
“Secondo me gli adolescenti oggi sperimentano la solitudine, che era un tratto della sua stessa adolescenza. Ho conosciuto un ragazzo che stava facendo una tesi di laurea su Pavese perché durante il covid ha capito cos’è la solitudine. I giovani sono molto solitari, vuoi la pandemia, vuoi le nuove tecnologie. Anche negli altri Paesi, come gli Stati Uniti, Pavese sta tornando di grande moda”.
La prima proiezione del film sarà domenica 24 novembre alle ore 16 al Cinema Romano. Le repliche lunedì 25 novembre alle 14 in presenza della regista e martedì 26 novembre alle ore 19.15.