Cultura e spettacoli - 08 novembre 2024, 07:03

Marco Morricone, a Torino il figlio del grande compositore: “Mio padre? Persona rigorosa, prima di tutto con se stesso”

Questa sera al Circolo dei lettori, insieme al co-autore, Valerio Cappelli, presenta il libro che racconta l'uomo oltre il musicista: “È stata una rincorsa per capire chi era”

Marco Morricone, a Torino il figlio del grande compositore

“Ennio Morricone. Il genio, l’uomo, il padre” è il titolo del libro che sarà presentato questa sera alle ore 19.30 al Circolo dei lettori, scritto a quattro mani dal figlio del compositore, Marco Morricone, con il giornalista Valerio Cappelli.  

“Per me questo libro rappresenta un tuffo nella vita, nella mia vita accanto a papà- spiega Morricone -. Nonostante la sua attività anomala, è stato un padre. Questo è stato un percorso accanto a lui, una rincorsa costante, per capire cosa c’era dentro mio padre, cosa c’era dentro la persona. Il personaggio lo conoscevano tutti, ma la persona era diversa. Penso che mi abbia permesso di capirlo. È stata la chiusura del cerchio dell’elaborazione del lutto”. 

"Per me è stato un padre - aggiunge Cappelli - l'ho conosciuto all’età di 16 anni quando facevo il girapagine in un istituto da camera di Roma. Insieme a Marco, abbiamo unito i ricordi. Abbiamo raccontato l’uomo, non il musicista. L’uomo che aveva tante durezze, date dalla guerra, dalla povertà, da un padre severissimo, e un’unica ossessione che era la musica. Di lui conservo il ricordo del primo incontro e nel cuore mi resta il tema di Deborah, un regalo che mi fece ascoltare nell’84, ebbi un’intervista pazzesca che mi diede visibilità nel mondo del giornalismo". 

Suo padre era una persona rigorosa, c’è un ricordo più dolce e affettuoso che magari non ha inserito nel libro? 

“Era una persona sanguigna - precisa Morricone - ma aveva fatto del rigore una ragione di vita. Il suo rigore lo applicava prima su di sé e poi sugli altri. Era una scelta di vita. Ricordiamo che ha vissuto la guerra, in età adolescenziale, e vedere le persone che morivano a quell’età, ti rafforza. Ci sono però tanti ricordi, c’è una foto nel libro ad esempio in cui mi tiene in braccio mentre mangia la zuppa inglese, ma poi ricordi mentre giochiamo a ping-pong, tante cose, davvero. In generale però il ruolo di papà è molto difficile. È difficile spogliarsi da quel ruolo di educatore, con i nipoti perdi quel ruolo e diventi “il nonno” e il nonno è la figura più bella. I miei figli e nipoti lo trovavano diverso, però loro era il nonno in tutti i sensi”. 

Quali erano i film preferiti di suo padre? 

“Non lo avrebbe mai dichiarato, nemmeno sotto tortura, erano tutti suoi figli. Figli di un sacrificio, di una cultura musicale, di concentrazione, ma finito un lavoro e andava oltre. Non esisteva un film preferito, quantomeno non l’ha mai detto. Per quanto riguarda gli altri film, andava a vedere i successi più importanti, si concentrava tutto in due giorni e basta. Non lo frequentava molto, non perché non lo amasse, anzi, ma non voleva essere condizionato da altri per la sua musica”. 

Nel libro si citano grandi nomi, da Sergio Leone a Brian De Palma, che ricordi ha di loro? 

“Uno è legato a Sergio, perché le nostre famiglie si frequentavano, frequentavano i suoi figli, e quindi Sergio era di casa. Il secondo ricordo bello e piacevole che è quello di una persona straordinaria, il regista Terrence Malick. Era una persona con cui intratteneva un rapporto di amicizia epistolare, letteralmente di carta e penna. Si scrivevano spesso, nonostante non parlassero la stessa lingua”.    

Anche Quincy Jones, venuto a mancare qualche giorno fa, era un grande amico di suo padre. Che idea aveva di lui?
“Mi è dispiaciuto molto perché aveva una grande competenza musicale, una persona con cui mio padre ebbe un rapporto molto intenso, che chiamava “fratellino”. Quando è mancato papà, scrisse una lettera a ciascuno di noi figli in cui ci dimostrava affetto, è una cosa che conservo con molta gelosia". 

Suo padre è venuto più volte in concerto a Torino, che ricordi ha della città?

“Ricordo che una volta andammo a mangiare in un ristorante vicino all’Auditorium della Rai dove incontrammo Gianni Morandi, che mio padre conosceva da quando aveva i calzoni corti, ecco fu una bella cosa”. 

C’è un brano di suo padre a cui è particolarmente legato? 

“C’era una volta l’America. Anche al di là del brano è un film in cui si parla di valori, di tramonti, di amore, magari anche onirico, in cui c’è di tutto. Il tema è il raggiungimento di un apice e molto alto”. 

C’è qualcosa che avrebbe voluto dire a suo padre e che non ha avuto il tempo e modo di fare?

“Tante cose. Papà aveva un altro linguaggio, noi usiamo molte parole, ma lui quando andava tutto bene non diceva nulla. Era un uomo che amava fortemente i silenzi, credo però che amasse anche i gesti e le dimostrazioni".