Dal Barcanova all'Asti, poi un lungo giro d'Italia fino ad arrivare al top, alla Juve, con cui conquista la Champions del 1996, segnando uno dei rigori nella finale di Roma contro l'Ajax. Poi, esattamente dieci anni dopo, l'arresto e il carcere, con accuse infamanti quanto infondate. Un calvario giudiziario durato 17 anni, fino all'assoluzione piena arrivata nel 2023.
La partita in difesa di un attaccante
Ha vissuto come su ottovolante Michele Padovano. Dal Paradiso all'inferno, dalla gioia più grande che un calciatore possa provare alla privazione della libertà per un clamoroso errore giudiziario, in una storia che per certi versi ricorda quella di Enzo Tortora negli anni Ottanta. "Ma io sono qui a poterla raccontare, altre non ce l'hanno fatta, altre storie si sono consumate nell'indifferenza", racconta all'Open Factory di Nichelino in un tardo pomeriggio caldissimo di inizio luglio, in cui il suo libro "Tra la Champions e la libertà" diventa quasi una metafora della vita.
L'assessore allo Sport Francesco Di Lorenzo ha fatto di tutto per convincere Padovano ad essere presente, la vice sindaca Carmen Bonino gli porta i saluti da parte della città, mentre l'ex assessore alla Cultura, Michele Pansini, fa da moderatore ad un incontro che richiama una folla attenta e molto partecipe. Si parte ripercorrendo la sua carriera da calciatore, tutti i passaggi dalle giovanili fino alla gloria bianconera. Poi, nel maggio del 2006, l'arresto: ne seguono 3 mesi di carcere, 9 ai domiciliari e altri ancora di firma, due condanne prima che arrivi infine una assoluzione piena. Un tunnel lungo 17 anni per poter infine veder riconosciuta la sua totale estraneità a quelle accuse di essere un trafficante di droga che gli hanno sconvolto la vita.
"Non lo auguro neppure al peggior nemico"
"17 anni persi, che nessuno potrà mai restituirti", dice la vice sindaca Bonino. "Ma tu sei la dimostrazione che si può farcela a uscirne, ad essere più forte delle ingiustizie". E' presente anche l'ex consigliere regionale Diego Sarno, lo Juventus Club Nichelino, ma ci sono anche persone che non amano il calcio ma vogliono sentire da un uomo che ha passato sulla sua pelle il dolore e la sofferenza del carcere, cosa significa vivere una gogna giudiziaria. "Questa vicenda mi ha insegnato di che pasta sono fatto", ha detto Padovano. "Non lo auguro neppure al mio peggior nemico quanto mi è successo. Solo in quei momenti capisci veramente il valore della libertà, quando non la puoi avere più ti rendi conto di quanto è fondamentale".
"Ho superato il pregiudizio di molti, di chi mi aveva puntato il dito contro. E io prima avevo fatto il calciatore, un privilegiato che faceva il mestiere più bello del mondo per il quale venivo pagato anche bene", dice Padovano, rifiutando di togliersi sassolini dalle scarpe, di attaccare chi lo aveva accusato ingiustamente. Ricorda il suo ex compagno di squadra Bergamini ai tempi del Cosenza, morto troppo giovane e in circostanze poco chiare "per il quale spero venga fatta presto giustizia, questa storia si trascina dal 1989". Padovano ha chiamato suo figlio Denis proprio per onorarne la memoria.
"Mille errori giudiziaria all'anno, è insensato"
Dal figlio alla moglie Adriana il passo è breve. L'ex juventino ricorda che è stata lei "a portare avanti la famiglia in un momento difficilissimo, con Denis che ha avuto un'adolescenza stravolta. Ma oggi siamo qui, nonostante tre errori giudiziari al giorno, mille all'anno, una cosa insensata". Ma è l'unico momento in cui si lascia andare ad un momento di rabbia. Poi gli si illuminano gli occhi quando ricorda Gianluca Vialli: "E' stato uno dei pochissimi che mi è stato vicino quando ero in carcere, telefonava sempre a mia moglie il giorno dopo che era venuta in carcere a trovarmi per sapere come stavo. Ricordo il nostro abbraccio quando ci rivedemmo finiti i miei domiciliari".
"Vialli il mio angelo custode"
"Uno come Luca non morirà mai, per i ricordi e l'insegnamento che ha lasciato a tutti, non solo ad amici e compagni", dice ancora Padovano, che poi scherza ricordando la finale di Champions a Roma. "Lui non se la sentiva di tirare uno dei rigori, io gli ho sempre detto che lo avrebbe dovuto fare. Ma ci abbiamo pensato io e gli altri, che non ne abbiamo sbagliato uno. La Champions si vince una volta nella vita e a moltissimi manco capita, ancora oggi è un ricordo unico, straordinario e meraviglioso. Quel trionfo resterà per sempre, anche quando noi non ci saremo più...". E ricordando la prematura scomparsa di Vialli, arrivano parole dolci come il miele: "Mi piace pensare che adesso Luca sia uno dei miei angeli custodi lassù".
Poi Padovano fa una breve incursione anche nell'attualità. Dalla Nazionale reduce dalla figuraccia europea ("sono stati fatti errori clamorosi negli ultimi anni, pensiamo ai due Mondiali consecutivi non fatti. Bisogna ripartire dai giovani"), la difesa di Claudio Marchisio, accusato con striscioni infamanti da alcuni ultras della Juve per una sua frase sul caldo tifo di quelli del Toro ("gli sono vicino, ha detto il suo pensiero, ma nessuno è più juventino di lui"), fino ad arrivare alle rinunce che devono fare i calciatori: "I veri sacrifici li fanno gli operai che si svegliano alle 4 per andare a lavorare, non chi ha la fortuna di fare il lavoro più bello del mondo...".
"Trattato come il mostro di Lochness"
Poi inevitabilmente si torna sulla sua vicenda, con Padovano che ricorda di aver trascorso dei giorni anche in isolamento, "trattato come se fossi stato il mostro di Lochness. In carcere ho visto scene da circo e trattamenti da parte degli agenti che non si possono neanche definire. Non bisognerebbe mai dimenticare l'umanità". E poi arriva l'omaggio alla moglie: "Dopo le prime due condanne io ho vacillato ma mia moglie non ha mai smesso di crederci. L'assoluzione è dedicata a mio padre, morto nel 2007, un anno dopo il mio arresto".
Poi si torna al calcio e alle cose belle. E dopo l'omaggio alla Juve, ecco Padovano che riannoda il filo della memoria: "Zidane il più forte che ho avuto come compagno, Maradona il migliore in assoluto, Vierchowod il difensore più bravo e arcigno, per fortuna alla Juve me lo sono ritrovato al fianco...".
"Grazie ai giudici che mi hanno assolto"
La conclusione è ancora legata al suo travaglio giudiziario: "Se la mia storia può essere di aiuto anche solo ad una persona che oggi è in carcere, io sarei già contento". E ripensando a quei magistrati che gli hanno travolto l'esistenza sospira: "Viva Dio c'è anche qualche giudice che alla fine ha fatto giustizia e mi ha assolto, io gli dico grazie".