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Cultura e spettacoli | 09 giugno 2024, 18:40

Alla Fondazione Sandretto, la mostra di Binta Diaw affronta la questione della migrazione

Da 20 giugno al 13 ottobre

Alla Fondazione Sandretto, la mostra di Binta Diaw affronta la questione della migrazione

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, da 20 giugno al 13 ottobre, presenta Il peut pleurer du ciel, la mostra personale di Binta Diaw, curata da Ilaria Bernardi, co-organizzata e co-prodotta da Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e Associazione Genesi.

Il progetto è concepito come un’immersione multisensoriale che affronta la complessa questione della migrazione e della sua storia tra due continenti: Africa ed Europa. Urgente questione politica ed economica attuale, la migrazione è anche un tema filosofico profondo in cui si intrecciano identità, patrimonio culturale e immaginazione.

Fin dagli inizi della sua ricerca artistica, Binta Diaw si interessa dei movimenti dei popoli nel corso del tempo, siano essi volontari o forzati, ufficiali o non ufficiali. Approfondisce, in particolare, la nozione di diaspora che connota anche il corso della sua stessa esistenza, essendo italiana di nascita ma nata da genitori senegalesi emigrati in Italia. Al di là del tema delle origini e del ri-radicamento che lo spostamento fisico e simbolico di una vita umana solleva, l'idea di diaspora è da lei sviluppata anche come il momento in cui “si cerca di essere molti esseri allo stesso tempo”; in altre parole”, mutuando ancora le parole di Edouard Glissant “ogni diaspora è il passaggio dall'unità alla molteplicità”. Da qui l’interesse di Diaw per la lunga storia migratoria e diasporica dell'Africa, intesa come punto di partenza, ma anche come territorio connaturato dalla cosiddetta “vocazione africana ad andare altrove”.

Per la tappa di Progetto Genesi alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Binta Diaw crea un'installazione immersiva che affronta il tema della migrazione in modo non convenzionale e lontano dai comuni cliché sull'argomento così come da una lettura politica del tema, per invece condurci verso il racconto della sensibilità del corpo umano migrante nei suoi legami con la natura e con la cultura che lo circonda.

Un video, concepito come una meditazione visiva sull’oceano, è proiettato sulla parete di fondo della sala. La telecamera si focalizza sull’acqua del mare e sulle onde che si formano al largo. Sullo sfondo appare in lontananza Lampedusa, terra di fantasie e ostilità al crocevia di due mondi che faticano a comprendersi. Nell’acqua appaiono invece masse scure, forme rettangolari e allineate che fluttuano contro il vento e le maree. Queste forme sono stuoie di terra attraverso le quali l’artista evoca la ricchezza semantica dell’espressione «questa è la mia terra», facendo riferimento alla terra che scegliamo per noi stessi, oppure quella che ci viene imposta, con particolare riferimento alla storia dell’Africa e alla sua storia coloniale.

Al suolo, due grandi teli in plastica che rinviano al tappeto nel video ma al contempo all’inquinamento delle acque, accolgono numerose piccole sculture, tra loro identiche, fatte con la terra, a evocare l’attitudine occidentale a considerare identici, puri numeri, i migranti che arrivano sulle coste europee.

Spiega l’artista: “Il tappeto, da sempre legato in alcune culture a concetti quali quello di ospitalità e spiritualità, in questa installazione diviene una metafora del corpo migrante, del corpo in movimento da un luogo all’altro, da uno stato fisico ma anche mentale, a un altro. L’installazione è concepita come un’immersione multisensoriale che affronta la complessa questione della migrazione e della sua storia tra due continenti: Africa ed Europa. Urgente questione politica ed economica attuale, la migrazione è anche un tema filosofico profondo in cui si intrecciano identità, patrimonio culturale e immaginazione”.

La mostra è accompagnata da una monografia sull’artista, curata da Ilaria Bernardi, edita da Silvana Editoriale e prodotta dall’Associazione Genesi. Il volume fornisce la prima ricognizione dell’intera sua ricerca attraverso una cronologia ragionata delle opere da lei realizzate fino a oggi.

L’esposizione si svolge nell’ambito della terza edizione di Progetto Genesi. Arte e Diritti Umani, promosso dall’Associazione Genesi dal settembre 2021. Si tratta di un progetto interdisciplinare e inclusivo, in edizioni annuali, a cura di Ilaria Bernardi, che coniuga momenti espositivi ed educativi di volta in volta differenti, con l’obiettivo di fornire un’educazione permanente in tema di diritti umani. L’idea da cui origina la concezione di Progetto Genesi è che l’arte contemporanea possa assumere il ruolo di ambasciatrice dei diritti umani. Concepito come itinerante, per radicalità di impegno, vastità di orizzonti e ampiezza del ventaglio di iniziative che lo compongono, rappresenta un vero e proprio unicum nel sistema dell’arte contemporanea, non solo italiano.

Al fine di ampliare l’attenzione sull’importante progetto espositivo di Binta Diaw negli spazi della Fondazione Re Rebaudengo, la Fondazione ha voluto attivare un percorso di avvicinamento ad esso attraverso due diversi momenti, entrambi curati dal curatore della Fondazione Bernardo Follini: la realizzazione di un billboard al Parco d’Arte Sandretto Re Rebaudengo di Guarene, raffigurante uno dei lavori dalla serie dei Paysages Corporels, inaugurato il 18 maggio; e una mostra ad Alba, al Palazzo Banca d’Alba, con inaugurazione il 14 giugno, che presenta alcuni nuclei centrali del lavoro dell’artista, spaziando dal medium fotografico, al video, all’installazione.

Oltre alla mostra Il peut pleurer du ciel, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, fino al 13 ottobre, continuano ad essere visitabili Je Vous Aime di Diana Anselmo, Fly on the wall di Danielle McKinney, Isthmus di Mohammed Sami.

Per info: fsrr.org 

comunicato stampa

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