E' diventato, nel giro di pochi giorni, un vero "divo" della città di Torino. Avvistato da più parti, a passeggio (si fa per dire) nelle piazze più belle, in posa per scattare fotografie con passanti e turisti. L'elefante Fritz è diventato la mascotte - ma forse sarebbe più moderno dire "il testimonial" - della riapertura del Museo regionale di Scienze naturali, che dallo scorso fine settimana è tornato a mostrare le sue bellezze al pubblico. E che, almeno per i fine settimana di gennaio, ha già registrato il tutto esaurito.
Ma chi è il papà di Fritz? Il suo nome è Franco Nicolosi ed è uno scultore, oltre che insegnante: "Ho realizzato nel 2015 questa grande scultura in resina in collaborazione con le allieve e gli allievi del corso per Tecnico Costruzione Scenografie Teatrali e Cinematografiche presso le Scuole San Carlo di Torino - ricorda -. La scultura in resina è la riproduzione fedele dell’elefante Fritz conservato in tassidermia nel Museo di Scienze Naturali di Torino".
Quello di Fritz, però, non era stato un debutto assoluto: "In precedenza avevo realizzato un rinoceronte per un privato ed era piaciuto ad alcuni rappresentanti della Regione che lo avevano visto". Da qui, l'incarico. "Ci abbiamo lavorato da settembre a maggio - aggiunge - e per gli allievi era stato interessantissimo: dalle prime misure a tutte le fasi di realizzazione, si sono impegnati al massimo. E li abbiamo addirittura seguiti, in bici, durante la consegna".
Una storia piuttosto triste, quella di Fritz (quello vero): il pachiderma era infatti un regalo che fu inviato nel 1827 dal vicerè d'Egitto a Carlo Felice, in cambio di 100 pecore merinos. Visse dunque a Stupinigi, alle porte di Torino, ma non certo nelle condizioni ideali per un essere della sua specie. E con una fine tragica. "Gli abbiamo in un certo senso reso un onore simbolico, dopo un vita difficile", dice Nicolosi.
E adesso, con la riapertura del Museo, la nuova ribalta. "Mi ha stupito molto questo nuovo momento di fama per il nostro elefante - aggiunge lo scultore - non abbiamo fatto nessun intervento di manutenzione, col tempo, ma ha resistito bene. Sono anche andato di recente a vederlo e sembra proprio vivo: non lo ricordavo quasi più ed è stata quasi una nuova scoperta. Sta molto bene anche con il drappo con il simbolo del museo".
E la gioia è stata condivisa con gli allievi del tempo. "Ho sentito due o tre di loro che sono andati a vederlo, erano tra quelli che ci avevano lavorato un po' di più. Si erano occupati degli occhi, partendo da alcune lampadine e si erano studiati gli strati di resina per ottenere l'effetto del cristallino. Erano contentissimi". "E' buffo vederlo in piazza Castello, ma sta molto bene. Ha un'espressione curiosa, quasi affabile, perché ci hanno chiesto di renderlo più amichevole".
E dopo Fritz ci fu anche un "sequel", per la scuola: "Abbiamo realizzato Jabba the Hutt, lungo quattro metri, per alcuni appassionati in occasione di Torino Comics. Le dimensioni reali rispetto a quello usato per girare il film di Star Wars".
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