Si chiama Alberto Avalis, ha 34 anni e, negli ultimi sedici, ha effettuato quasi 20mila lanci in giro per il mondo con il paracadute. Da qualche giorno è tra i pochi fortunati al mondo, l’unico italiano , ad essersi buttato a 7.200 metri di altezza, sul tetto del pianeta, al cospetto del Monte Everest.
È originario della provincia di Cuneo, precisamente di Manta, nonostante da diversi anni la sua famiglia viva ad Osasco, nel Pinerolese. È il fratello di Stefano, il ritrattista dei vip, di cui abbiamo avuto modo di parlare in passato sulle pagine di Targatocn.it e Piazza Pinerolese.
Questo genere di avventure sono di casa nella famiglia Avalis. E quella di Alberto è solo l’ultima della serie. Nel settembre 2019 arrivò sulla cima del Monviso in 14 ore partendo da Dubai alle 3 del mattino con il raggiungimento della vetta alle ore 17. Nel 2020 raggiunse la cima del Monte Kilimanjaro in Africa a quasi 6000 metri d’altezza. Alberto, tra l’altro, è detentore di diversi Guinnes World Record nell’ambito del paracadutismo sportivo.
Dubai è la città dove vive e lavora come istruttore di paracadutismo da ormai undici anni e dove ha avuto modo di accompagnare in quota star hollywoodiane, dello sport e dell musica o le loro famiglie: Will Smith, Tom Cruise, Lewis Hamilton, Martin Garrix per citarne alcuni.
La sua carriera professionale è partita nel 2012, prima in Australia e poi negli Stati Uniti, dopo aver svolto per qualche anno questa pratica come hobby.
Ma è nella città degli emiri dove Alberto è ormai di casa: qui è presente uno dei più grandi e rinomati centri di paracadutismo al mondo di propietà della famiglia reale Emiratina.
Nonostante questo resta comunque affezionato alla terra di origine.
“Mantengo un forte legame con il mio paese - racconta Alberto - Ritorno spesso per visitare familiari e amici e per dedicarmi alla mia seconda grande passione: la montagna.”
E proprio al cospetto della montagna più alta del mondo che Alberto ha effettuato uno dei lanci più spettacolari della sua carriera, avvenuto a metà del mese di novembre, il periodo in cui qui le condizioni climatiche sono migliori per i vari trekking , summits himalayani e di conseguenza per lanciarsi con il paracadute.
“Ero già stato in Nepal in altre tre occasioni. L’ultima volta ad aprile avevo raggiunto il campo base dell’Everest a un altezza di 5364 e arrivato in cima al Kala Patthar a 5.644 metri- ci racconta - ma questa volta è stato diverso e soprattuto più impegnativo, specialmente per la logistica e per la particolare posizione della drop zone (zona di lancio ndr).”
"Partiti da Kathmandu a inizio novembre con il team di Everest Skydive - spiega - siamo atterrati a Lukla, aeroporto considerato il gate d’ingresso della valle del Khumbu. La regione del Khumbu è situata nel cuore dell’Himalaya del Nepal, precisamente a pochi chilometri a nord di Kathmandu. È una regione conosciuta per la catena montuosa più alta della Terra e da qui vi si accede al campo base per raggiungere l’Everest.
"Una volta arrivati - continua - lì la spedizione è partita per un trekking di quattro giorni verso la drop zone. Arrivati alla località del nostro campo base e dopo varie preparazioni con un elicottero attrezzato appositamente per i lanci ad alta quota ci si siamo alzati in volo accanto ad alcuni dei più iconici “Ottomila" himalayani, tra cui l'Everest, il Lhotse, il Makalu e il Cho Oyu. Ho effettuato in totale tre lanci, due dei quali da 7.200 metri di altezza.”
"In questa avventura - prosegue Alberto - ero accompagnato da un team di professionisti provenienti da tutto il mondo: Francia, Russia, Nepal, Arabia Saudita e America. Tutti esperti e preparatissimi ad affrontare salti in località remote come questa nella Valle dell’Everest.”
"La principale difficoltà - afferma il paracadutista mantese - è stata l'altitudine del salto, che ha richiesto l'uso di un sistema appositamente creato per il paracadutismo ad alta quota con maschera e bombola d'ossigeno, per prevenire il pericolo dell’ipossia. L'ipossia è una condizione in cui il corpo o una regione del corpo è privo di un adeguato apporto di ossigeno. Questa situazione può derivare da diversi fattori, tra cui l'alta quota, problemi polmonari, anemia o problemi circolatori. Quando le cellule non ricevono sufficiente ossigeno, possono verificarsi danni tissutali o disfunzioni d’organo. Altre variabili, come l'estremo freddo, la logistica dei salti e l'aria più rarefatta, hanno reso il salto e gli atterraggi con il paracadute tecnicamente molto più difficili e impegnativi.”
Per Alberto Avalis questo lancio rappresenta un sogno che si realizza.
“Da più di dieci anni pensavo di realizzarlo, ed è stato incredibile. L'impatto emotivo di volare vicino a montagne così imponenti come l'Everest è stato straordinario, quasi come se potessi toccarlo. Sono tra i pochi fortunati al mondo, l’unico italiano al momento , ad avere avuto questa fortuna: saltare in una delle località più belle e iconiche del nostro pianeta.”
"È stato molto probabilmente il lancio più bello della mia vita, con la vista più incredibile che abbia mai visto - conclude Alberto - Solo stando lì una persona realizza quanto siamo piccoli al cospetto di Madre Natura e della sua bellezza. Ne vorrei approfittare per ringraziare tutte le persone che hanno reso questa avventura realizzabile, aiutandomi in tutto e credendo in me".