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Cultura e spettacoli | 22 ottobre 2023, 18:42

L'inedito duo romano Leo Pari-Roberto Angelini alla conquista di Torino: “Qui sembra di essere in Europa”

Il cantautore e il chitarrista, protagonisti giovedì di un live acustico allo Ziggy Club di San Salvario, si sono raccontati tra passato, presente e futuro

Leo Pari-Roberto Angelini

L'inedito duo romano Leo Pari-Roberto Angelini alla conquista di Torino

Giovedì scorso, una bella fetta della Roma musicale contemporanea ha incontrato Torino grazie a un live intimo e intimista, in uno dei locali più particolari e alternativi della città: stiamo parlando del concerto del duo “inedito ma non troppo” formato da Leo Pari e Roberto Angelini, andato in scena allo Ziggy Club di San Salvario.

Il cantautore (e apprezzato autore per altri interpreti tra cui Simone Cristicchi, ndr) ha riproposto in chiave acustica diverse canzoni della propria quasi ventennale carriera, tra cui molte provenienti dall'ultimo album “Amundsen”, accompagnato alla chitarra e alla slide guitar dal musicista (già collaboratore del trio Fabi-Silvestri-Gazzè e non solo) e volto tv di Propaganda Live.

Quando e come vi siete conosciuti?

Ci conosciamo da tantissimo tempo e siamo amici da almeno vent'anni: anche se è molto grande, Roma ha una scena musicale che vive a stretto contatto con se stessa, per cui è assolutamente normale confrontarsi con tutti i musicisti, o almeno con quelli che condividono con te lo stesso mondo. Io e Roberto, nella fattispecie, ci incontriamo e frequentiamo spesso anche al di fuori della musica, facendo uscite e cene con le nostre compagne.

Come è nata e come si è poi sviluppata l'idea di fare un tour insieme?

LP: Perché, dopo tutti questi anni di amicizia e collaborazione in studio, ci sembrava davvero assurdo non aver mai fatto un concerto insieme. L'idea principale è stata quella di rendere il live acustico e minimale, spogliando le canzoni da tutti i loro arrangiamenti e riportandole al loro stato originale: sia i pezzi dell'ultimo album che quelli dei dischi più elettronici, infatti, sono composizioni nate sempre dalla chitarra o dal pianoforte; Bob, come sempre, è poi riuscito a metterci del suo, e questo è senza dubbio l'aspetto più bello del suonare con lui.

RA: Sono stato costretto a partecipare al tour perché mio figlio è un fan sfegatato di Leo (ride). A parte le battute, conoscendoci da anni ma non avendo mai suonato dal vivo insieme, quando è capitata l'occasione l'abbiamo colta al volo. Il mio ruolo è stato quello di creare dei colori intorno alle canzoni, una delle cose che adoro di più in assoluto: ogni cantautore ha il suo stile e io mi diverto moltissimo a creare dei piani sonori; Leo, da questo punto di vista, ha scritto delle canzoni che ti permettono farlo nei migliore dei modi. Poi siamo entrambi fuori di testa, e questa è una delle ragioni per cui ci siamo incontrati.

Amundsen rappresenta un'evoluzione anche a livello di suoni rispetto agli ultimi album: questa “svolta” acustica live è un'ulteriore evoluzione verso qualcosa di ancora diverso?

LP: Se ascoltassi le cose a cui sto lavorando attualmente, probabilmente resteresti fuorviato. La verità è che mi piace fare avanti e indietro, andare a destra e sinistra: la musica è tutta bella, ci sono momenti per fare cose più elettroniche e altri per farne di più acustiche. La cosa importante è che nascano canzoni in grado di stare in piedi voce e chitarre o voce e piano, solo in questo modo puoi andare oltre mettendogli il vestito che preferisci.

RA: Amundsen è il disco che, da amico, gli chiedevo da tempo perché è quello in cui Leo ha finalmente parlato di se stesso: io gli ho sempre detto di essere un grande cantautore, ma era davvero arrivato il momento di mettersi in gioco raccontandosi. Quando sei bravo riesci sempre a inventare storie e interpretare personaggi, e Amundsen è davvero meraviglioso; in più si sposa benissimo con il mio mondo musicale.

Roma, oltre a essere la città in cui siete nati, è anche la vostra madrepatria musicale: com'è il vostro rapporto con lei ora e com'è cambiato il modo di vivere e interpretare la musica?

LP: Sono cambiati soprattutto i linguaggi, così come sono cambiate le mode, sono cicli generazionali. Personalmente, penso che valga la pena ascoltare tutto, perché se una cosa riesce a venir fuori è perché suscita interesse anche se spesso si arriva ad estremizzare tutto: soprattutto nel pop, infatti, si scrivono canzoni in un pomeriggio, mentre dal mio punto di vista per un lavoro fatto bene c'è bisogno di tempo. Per Amundsen, ad esempio, è stato così: l'album è stato scritto durante il lockdown, poi mi sono ritirato in solitudine per preparare le basi dei pezzi pensando a qualche arrangiamento, e solo alla fine siamo entrati in studio per rendere floride tutte le idee.

RA: Cambiano i posti, cambiano gli stili, cambiano e invecchiano le persone, ma la musica non muore mai: la scrittura di una nuova leva come Fulminacci, ad esempio, è fresca, ma si riallaccia comunque a quella del primo Daniele Silvestri, con cui infatti ha inciso un singolo. In ogni caso, adoro quelli che guardano sempre avanti perché so ancora apprezzare la sincerità di chi cerca un linguaggio piuttosto che lasciarsi andare al fake. Un fake che puoi trovare, a mani basse, in certi contesti televisivi, anche se non mancano uscite interessanti nemmeno lì.

Roma è, da sempre, anche una fucina di cantautori. Tra Venditti e De Gregori, passando per Fabi, Silvestri e Gazzè, voi vi collocate tra le “vecchie” e le “nuove” generazioni: a proposito, ci potreste consigliare qualche artista “mai sentito”?

RA: Da questo punto di vista, io e Leo stiamo vivendo fasi completamente diverse: lui, infatti, è al centro della musica d'autore italiana, mentre a me è passata l'esigenza di scrivere che sentivo anni fa e preferisco suonare. Ritengo la scrittura una cosa alta e se quell'urgenza svanisce è meglio non sentirsi costretti a fare le cose tanto per fare. Detto questo, osservo sempre con grande interesse il mondo cantautoriale e a Roma posso dire di conoscere tanti nomi interessanti: uno su tutti è Alessandro Rebesani, in arte Rbsn, autore di un disco incredibile in inglese. Poi vorrei citare un amico, non propriamente “giovane” ma molto forte, un brigante della musica: parlo di Luca Carocci, bellissima penna che meriterebbe un riconoscimento maggiore.

Suonando a Torino non posso non farvi una domanda su questa città, che come Roma è un punto di riferimento per la musica in Italia: come vi trovate qui?

RA: Torino è la città più vicina all'Europa, ha un suo carattere preciso e lo avrà sempre: inoltre, è sempre piena di artisti interessanti come Andrea Laszlo De Simone, musicista di grande classe e coraggio; lui è la dimostrazione vivente della possibilità di fare quello che ti piace creando una dimensione che ti permette di vivere bene di musica. Ricordo ancora, infine, le tante notti passate ai Murazzi, da Giancarlo, dove durante un MTV Day di tanti anni fa ho avuto modo di conoscere Bianco, all'epoca un ragazzino.

LP: Non ho mai avuto la possibilità di viverla fino in fondo, ma mi piace molto la matrice elettronica che si trova sempre sotto la sua cultura pop: essendo molto vicina alla Francia, alla Svizzera e alla Germania, d'altronde, non può che essere influenzata dal mood europeo; anche lo Ziggy Club ricorda molti locali che puoi trovare all'estero. Parlando di musicisti torinesi ma romani d'adozione, mi permetto di suggerire Il Solito Dandy, alias Fabrizio Longobardi, ragazzo che seguo da tempo e che sta gareggiando proprio quest'anno a X Factor con un inedito scritto proprio con me; segno di come la fucina musicale torinese sia sempre vivida e abbia un suo sapore, che poi è quello del Nebbiolo.

Marco Berton

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