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Attualità | 15 ottobre 2023, 18:58

Enrico Federico Jest e la prima foto di Torino: come è nata e dove è possibile ammirarla

Quando la passione aguzza l'ingegno e dà vita a nuove invenzioni. La risposta alla domanda si trova alla Gam

dagherrotipo Gran Madre

La prima foto di Torino rappresenta la Gran Madre (foto: dagherrotipo esposto alla Gam)

Vi siete mai chiesti come è nata la fotografia? Quali meccanismi si nascondono all'interno di una macchina fotografica, quella scatoletta "magica" che fissa in un tempo imperituro i nostri ricordi più preziosi?

Per conoscerli occorre sicuramente avere competenze specifiche in diverse discipline, ottica e chimica tra le altre.

Uno dei primi ad interessarsi a tali tematiche fu Enrico Federico Jest, vissuto a cavallo tra il 1700 e il 1800. Era il proprietario di una vasta azienda che si occupava della realizzazione di macchinari in ambito fisico, chimico, ottico e meteorologico e che, per lungo tempo, fu fornitrice delle facoltà scientifiche dell'Università di Torino.

Grazie alla sua passione per la fotografia e agli introiti dell'azienda di cui egli era a capo, Jest, insieme al figlio Carlo Alessandro e ad Antonio Rasetti costruì, sulla falsa riga del dagherrotipo, una macchina per riprodurre immagini, quella che poi si rivelò essere il primo apparecchio fotografico della storia. Con esso, l'8 ottobre del 1838 Jest fissò il primo scatto della città di Torino: il soggetto è assolutamente noto ai torinesi, ossia la chiesa della Gran Madre di Dio, ubicata nella piazza omonima. Ma se si osserva con attenzione la fotografia, non si può non notare un particolare: il campanile, che si erge a destra osservando la chiesa da piazza Vittorio, nella foto è a sinistra.

Questo è spiegabile tenendo presente la dagherrotipia, la tecnica con cui sappiamo essere stata realizzata la foto. Essa, infatti, prevedeva l'utilizzo di una lastra di rame su cui veniva applicato elettroliticamente uno strato d'argento previa sensibilizzazione in camera oscura mediante esposizione a vapori di iodio. La macchina garantiva l'ottenimento di un'unica copia positiva, speculare rispetto al soggetto di partenza, e non riproducibile.

Seguace di Jacques Mandè Daguerre, dal quale ereditò la tecnica omonima, dopo quello scatto Jest dedicò il resto della vita alla fotografia e tradusse in italiano il suo manuale contribuendo a diffondere la dagherrotipia in tutto il paese.

La sua foto è tuttora esposta e si può ammirare presso una delle sale della Galleria d'Arte Moderna.

Federica De Castro

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