Come sarà questa edizione del Salone Internazionale del Libro? “E chi lo sa? Queste cosa si sanno solo quando succedono” scherza Nicola Lagioia, parlando dell’ultima edizione della kermesse torinese che lo vedrà direttore e che si appresta ad aprire domani, con ogni probabilità sotto l’ombrello.
“Le premesse sono buone, il maltempo potrebbe essere un’incognita - ammette -. Ma il tempo non troppo bello, potrebbe essere l’ideale, perché così la gente non va al mare. Certo non dev'essere troppo, ma soprattutto per chi viene da fuori, penso a chi viene dall’Emilia Romagna in particolare”.
Il SalTo23 è di nuovo ricco di ospiti, gli allestimenti riadattati, c’è di nuovo un Paese ospite, l’Albania, e si allargano anche gli spazi che invadono la Pista 500.
Si appresta quindi a essere un’edizione di tutto rispetto, con cui Lagioia potrebbe chiudere in bellezza la sua carriera da direttore. “Sono contento di finire questa esperienza, che è stata bellissima e anche formativa sotto vari aspetti”.
La fine di un percorso che per Lagioia segna anche un nuovo inizio. “Sicuramente avrò maggiore libertà. Prima la priorità era il Salone. Se sei il direttore, a qualcosa devi rinunciare, perché devi salvaguardare il bene dell’istituzione. Sarà una libertà diversa, perché sarà un po’ più consapevole di come funziona il mondo rispetto a prima”.
“La cosa che mi mancherà di più? Il rapporto con le persone con cui ho lavorato che spero rimanga”, afferma senza esitazione. “Eravamo tre o quattro, in sette anni, siamo arrivati a quaranta, speriamo di essere abbastanza bravi a continuare a coltivare l’amicizia”.
Non nasconde che in futuro potrebbe prendere in considerazione un incarico simile. “Dipende dal tipo di incarico. Il Salone per me è stata un’esperienza rocambolesca. Era una cosa galvanizzante. Non sapevo se ci sarei riuscito. Era una situazione disperata, ma dall’altra era una sfida interessante”.
Una sfida diversa aspetta chi raccoglierà il suo testimone, Annalena Benini. “Lei avrà problemi diversi. È il rischio di quando si ha una macchina che va al novanta per cento, hai paura che un giocattolo che funziona così bene si rompa. È anche vero che si possono inventare mille cose”.
L'eredità che lascia Lagioia è una squadra solida. “Prima eravamo in pochi. A Massimo Bray va il merito di avermi scelto senza neanche conoscermi. Probabilmente il mio nome è uscito tramite gli editori indipendenti con cui ho lavorato per tanto tempo”.
Nei giorni scorsi il direttore è tornato sul tema della legge sull’editoria. “Per i libri tutti fanno sempre delle piccole misure, non si fa mai una rete. Ci vorrebbe una legge che tenga conto di librerie, case editrici, biblioteche e scuole, questi sono i grandi attori della partita. L’editoria a differenza del cinema si auto sostiene sul mercato. Quindi non ci vorrebbe neanche chissà quale investimento”.
E per il futuro del Salone dopo Lagioia? “Sarebbe bello, diventasse un punto di riferimento nazionale. Il know-how è spendibile su tutto il territorio, non solo in Piemonte. L’idea è che la fiera resta Torino, ma poi tutta quella modalità si può spendere ovunque. Con tutta la professionalità che si è creata si potrebbe organizzare una scuola per chi organizza eventi culturali che sono molti in Italia. Se fatti bene gli eventi culturali sono partecipati”.
Nessun dubbio infine sulla sua indipendenza. “Non c’è ragione di credere che il Salone possa non essere indipendente. I privati portano oltre il 60% dei fondi per il Salone, abbiamo visto dei Governi che governavano con la minoranza, vuoi che uno che abbia il 60% non lo faccia. L’indipendenza del Salone però secondo me è oggettiva, con il dialogo io ho sempre fatto di testa mia, mai nessuno mi ha detto che cosa mettere nel programma”.