Economia e lavoro - 16 febbraio 2023, 07:02

Stop a diesel e benzina nel 2035, la paura dei piccoli: "È un suicidio". "Eravamo dipendenti dalla Russia, lo saremo dalla Cina"

Api Torino e Cna concordi: "Prendiamo atto della scadenza, ma mancano risposte e sono ancora troppi i temi aperti, occupazionali e non solo"

catena di montaggio Mirafiori

La prospettiva dello stop alle auto a motore endotermico spaventa anche le piccole e medie imprese

I piccoli non ci stanno. Si alza la levata di scudi, nella città dell'automotive, dopo la decisione ribadita dall'Europa di stoppare al 2035 la produzione di vetture a benzina o diesel. E le piccole aziende sentono da vicino l'ombra dell'incertezza.

"È un suicidio per tutti"

 “È un suicidio - dice il presidente di Api Torino, Fabrizio Cellino - se si ragionasse in termini di filiere complessive ci sarebbe un’impossibilità tecnologica, ma almeno avrebbe un senso. Farlo invece solo in Europa con batterie prodotte principalmente dalla Cina, tra l’altro anche con fonti energetiche ad alto inquinamento, mi pare un assurdo".

E la dinamica rischia di rimuovere senza risolvere. “Spostiamo il problema dell’inquinamento togliendolo a noi e aumentandolo nel resto del mondo e ci suicidiamo internamente in termine di occupazione e di industria che abbiamo creato negli ultimi 50anni - prosegue -. È un’assurdità totale sotto tutto i punti di vista, sia sul lato green sia dal punto di vista sociale”. “Non posso e non voglio credere che da qui al 2035 non verranno fatte modifiche e trovate soluzioni di mediazione alternative perché non capisco se di fondo c’è grande ignoranza da parte di qualcuno o interessi nascosti che non si riescono a percepire del tutto".

"Prendiamo atto, ma servono risposte"

Decisamente perplesso anche Nicola Scarlatelli, numero uno di Cna Torino. "Prendiamo atto della scadenza del 2035, non possiamo fare altro. Ma nel mentre vorremmo anche ci fossero delle risposte da parte di chi decide che le cose vadano fatte in questa maniera e in questi tempi. Dai una scadenza, ma non dai una risposta a tutta una serie di problemi che ci sono e di tematiche aperte". 

"Non si può non ragionare sull'impatto occupazionale e sull'impatto di dipendenza c che si verrebbe  a creare nuovamente da altri Paesi, ma uguale se non maggiore a quella che già abbiamo - prosegue -. E poi non si può non prendere atto che il rispetto del clima non può coinvolgere un solo settore trascurando tutti gli altri. Senza dimenticare che ci sono Paesi che non rispettano minimamente questi obiettivi in queste tematiche. Da qui al 2035, poi, abbiamo idea di cosa significhi rottamare milioni di auto?".

E poi c'è l'universo che ruota intorno all'auto: "L'impatto sull'indotto preoccupa, ma sul nostro territorio ormai è già avvenuto. Il grosso urto l'ha già avuto. Ha già resistito anni fa. È problematica la situazione di altri stabilimenti nel resto del Paese. Se passiamo all'elettrico, a Melfi non producono nulla che non sia a scoppio, a Cassino idem e anche a Pomigliano, mentre il ducato elettrico che stanno facendo in val di Sangro lo stanno facendo i Polonia. Cosa accade a questi stabilimenti? Non abbiamo risposta".

Sindrome cinese anche per i grandi 

Sindrome cinese e timori condivisi anche dai grandi. "Speriamo che si possa recuperare una soluzione di equilibrio - dice Giorgio Marsiaj, presidente di Unione Industriali Torino -. Le cose vanno fatte subito senza aspettare il 2026. Basta volerlo, ma non ha senso oggi imporre una soluzione tecnica che ci mette nelle mani dei fornitori cinesi. Bisogna trovare una soluzione europea".

Massimiliano Sciullo

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