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Economia e lavoro | 20 settembre 2022, 07:00

Ma è proprio vero che le relazioni sono un campo minato? Intervista a Mauro Doglio

Si parla molto, con l’inizio delle scuole e con la ripresa delle attività dopo l’estate, di “ritorno alla normalità”

Ma è proprio vero che le relazioni sono un campo minato? Intervista a Mauro Doglio

Si parla molto, con l’inizio delle scuole e con la ripresa delle attività dopo l’estate, di “ritorno alla normalità”. Come se l’emergenza che abbiamo superato fosse la sola responsabile delle difficoltà che incontriamo a scuola, al lavoro, a casa. Come se bastasse togliersi le mascherine e non sentirsi chiedere il green-pass per ritrovare una specie di paradiso perduto di buone relazioni e di vita felice. Ma, a pensarci bene, quello che ci fa stare male, male sul serio, sono le difficoltà di relazione che abbiamo nella nostra quotidianità con le persone che ci sono più vicine, con le quali condividiamo la casa, l’ufficio o l’aula di scuola.

Le dinamiche delle relazioni: perché è così facile farsi del male?

Sono tanti i modi nei quali possiamo farci male reciprocamente: disattenzione, aggressività, minacce, giudizi ‘cattivi’ sull’altro sono solo alcuni esempi. Se ci guardiamo intorno vediamo che nei diversi luoghi in cui viviamo e lavoriamo è facile che le relazioni portino sofferenza. A scuola ci sono le prese in giro da parte di compagni e compagne, le umiliazioni che a volte ci infliggono i professori. Sul lavoro colleghi e colleghe che fanno i loro comodi e poi siamo noi che dobbiamo togliere le castagne dal fuoco. A casa tutti hanno le loro esigenze e le loro necessità che a volte collidono facendoci dire cose orribili.

Viviamo in una società in cui le occasioni di incontro sono aumentate vertiginosamente e insieme sono aumentate anche le occasioni di scontro. Se poi ci si mettono anche il COVID e la guerra alle porte di casa la situazione non può che peggiorare. L’ansia, le preoccupazioni, l’incertezza per il futuro, gli aumenti dei generi di prima necessità aggiungono fatica e tensione a situazioni già difficili e il conflitto è dietro l’angolo. E se non è il conflitto è un malessere diffuso che pesa sulle nostre giornate. Ma allora:Siamo condannati a vivere le nostre relazioni con sofferenza e fatica? Non c’è modo di stare un po’ meglio?”

Coltivare le relazioni: la parola a Mauro Doglio

Fortunatamente la risposta è sì, possiamo coltivare le nostre relazioni in modo positivo e consapevole. E a offrirci il suo punto di vista oggi c’è Mauro Doglio, counselor e presidente dell’Istituto Change di Torino. “Anche se a guardarsi intorno può sembrare che le relazioni siano davvero un campo minato non sono d’accordo con il quadro a tinte fosche appena descritto. Normalmente le persone non pensano che il modo in cui parlano e comunicano sia determinante per la loro felicità o infelicità.”

E prosegue: “Le relazioni sono come delle case, ma vengono costruite con le parole che diciamo e con i gesti che facciamo. Raramente ci fermiamo a domandarci quale materiale da costruzione stiamo usando e dunque quale effetto produce la nostra comunicazione sugli altri. Quello che colpisce quando ci si occupa di comunicazione come faccio io è che cambiando il nostro modo di comunicare riusciamo a cambiare la nostra vita e quella degli altri.”

Quindi c’è speranza?

“Certo! Però bisogna impegnarsi, bisogna farsi delle domande sul modo in cui comunichiamo a casa, a scuola, in ufficio, sui mezzi di trasporto, insomma dappertutto. Bisogna rendersi conto che, con le nostre parole, facciamo succedere cose, nel bene e nel male. Aiutare le persone a riflettere su come comunicano è una delle cose che fa il counselor con i suoi clienti. Si tratta di persone che magari stanno affrontando qualcuna delle difficoltà di cui si parlava prima, difficoltà di relazione, conflitti, incomprensioni… Il counseling le aiuta a capire cosa sta succedendo e a cercare dei modi nuovi e diversi per venirne a capo.”

Ma cosa fa esattamente un counselor?

“Detto molto in breve, aiuta le persone a capire la situazione in cui si trovano, a fare ordine, uscendo dalla confusione che quasi sempre accompagna la sofferenza, a identificare con chiarezza le difficoltà, ad attivare le proprie risorse e a cercarne attorno a sé.”

E per quelli che non vanno dal counselor?

“La comunicazione non è un superpotere, tutti possono imparare ad usarla meglio. La nostra scuola, per esempio, organizza corsi per professionisti che lavorano usando la comunicazione, come medici, infermieri, insegnanti, assistenti sociali. A tutti questi operatori forniamo gli elementi di base della comunicazione professionale per aiutarli a non fare male agli altri e a se stessi usando le parole nel modo sbagliato”.

Mi piacerebbe molto incontrare un medico che ha seguito i vostri corsi… ma a quelli che non lavorano avete pensato?

“In realtà cerchiamo di pensare a tutti. Ci occupiamo dei genitori e degli studenti ad esempio. Ultimamente abbiamo organizzato corsi di comunicazione per i nonni e le nonne che, più spesso di quanto non si pensi, hanno difficoltà con figli, con i generi e le nuore, con i nipoti che vivono su TikTok…”

Una curiosità, quali requisiti bisogna avere per diventare counselor?

“Ci vuole una laurea triennale e tanta voglia di imparare e di mettersi in gioco”.

Per informazioni sul counseling e sull’Istituto Change:

www.istitutoghange.it

Tel: 011 6680706

Mail: segreteria@istitutochange.it

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