“È crollato, è crollato un'altra volta!"
Un boato, che arrivava dal fiume, aveva svegliato tutto il paese. Gli uomini si erano infilati in fretta i calzoni ed erano corsi alla riva per vedere l'entità del danno. Il ponte aveva ceduto sotto il suo stesso peso e le macerie giacevano in acqua.
Il podestà, con una coperta avvolta sulle spalle ossute, schiumava di rabbia e disperazione: "Non è possibile, un'altra volta. Siamo maledetti, questo ponte è maledetto!". E in effetti pareva proprio esser così. Nel giro di pochi anni erano stati costruiti due ponti, ci erano voluti fatica, materiali e anche fiorini. Ma prima uno e poi l'altro erano caduti rovinosamente nel fiume, collassati, senza apparente motivo, su loro stessi.
Solo il fato, la fortuna o il buon dio avevano impedito che ci fossero delle vittime e che ai danni materiali si aggiungessero le perdite umane. Il primo ponte era crollato al tramonto, un attimo dopo che la mula di Antonio aveva finito di attraversarlo. Il secondo ponte, come già detto, si era schiantato in piena notte, brutalizzando il sonno dei paesani ma non ferendoli in altro modo.
Quella mattina, poche ore dopo, i notabili della cittadina si erano riuniti nella strada principale per trovare una soluzione, o almeno provarci. "Lasciamo perdere" sbuffò Antonio, vecchio pigro e poco incline a ogni novità. "Fatti furbo!" gli rispose il podestà. "Il ponte ci serve, non possiamo restare isolati!". "Ma come facciamo? Non abbiamo i soldi per costruirne un altro!" disse il cerusico. "Non guardate me!" si mise subito sulla difensiva il parroco. "Le casse della parrocchia sono vuote!".
Fu in quel momento, a quelle parole, che uno strano refolo di aria fredda attraversò la valle, s'infilò lungo le strade fino ad insinuarsi tra gli uomini in riunione, che rabbrividirono tutti assieme. Tutti si voltarono a cercare l'origine di quel vento e videro avanzare lungo la strada una figura alta e magra, con un cappellaccio nero sulla testa e un mantello lungo fino ai piedi.
"Chi siete?" gli chiese il podestà appena questi li ebbe raggiunti. "Un angelo" rispose lo straniero con un sorriso sghembo lungo il viso. Il parroco si fece veloce il segno della croce. "Sono qui per aiutarvi" proseguì il nuovo venuto, leccandosi le labbra secche con la sua lingua biforcuta. Il parroco iniziò a sgranare il rosario. "Posso costruire per voi un ponte indistruttibile".
"E cosa vorreste in cambio di tanta generosità?" chiese il podestà perso negli occhi gialli e ipnotici dello straniero. "Un'anima, solo un'anima" rispose questi sollevando un lungo indice ossuto sormontato da un unghia curva e nera. "Vi lascio un giorno per decidere" concluse e così se ne andò. E per il parroco ci vollero i sali.
Quella riunione proseguì per tutta la giornata e tutta la notte, tra le preghiere del prete e le bestemmie degli altri, tentati dall'occasione ma restii a sacrificare uno qualunque dei propri compaesani. Era ormai l'alba quando Carlo il macellaio con un sorriso triste e l'aria colpevole, sospirò "Io avrei la soluzione, il modo per ingannare il diavolo".
Poche ore dopo il podestà, il parroco e il macellaio raggiunsero il fiume e attesero lo straniero che comparve sulla riva opposta. "Allora?" chiese.
"Siamo d'accordo" disse con voce tremante il podestà. "Voi ci date un ponte e noi vi diamo un'anima". "Molto bene, sapevo che sareste stati ragionevoli e avreste colto l'occasione. Questa notte costruirò il ponte. La prima anima che lo attraverserà domani mattina sarà mia". E così per tutto il giorno la popolazione tremò e la notte restò sveglia nei propri letti, avendo paura di uscire a vedere l'opera del diavolo.
La mattina poi, tutti assieme, raggiunsero il fiume e trovarono un ponte perfetto che andava da una sponda all'altra, alto e solido. Il diavolo ancora sull’altra riva, in attesa della sua anima. Il macellaio raggiunse l'inizio del ponte, si chinò e aprì un fagotto che, fino a quel momento, aveva tenuto in braccio. Ne uscì un vecchio cagnolino malconcio, un mucchietto di ossa e un muso imbiancato dal tempo. L’animale, ignaro e innocente, s'incammino lungo il ponte.
I paesani abbassarono lo sguardo sentendosi colpevoli, non dell’inganno ma del tradimento a spese dell’animale fedele. Mentre il diavolo, compreso di essere stato preso in giro, urlò e bestemmiò per poi sbattere i suoi piedi caprini con forza e creare due grandi buche nelle rocce. Buche che, da quel momento, sarebbero state chiamate marmitte dei giganti.
Il ponte, però, non venne giù. Il patto era stato mantenuto, l'uomo non aveva mancato alla sua parola pur ingannando il diavolo. Un'anima era stata sacrificata. Un'anima innocente, seppur non umana, che così garantì al paese la strada di cui tanto aveva bisogno.
Il ponte del Diavolo fu costruito nel 1378 allo scopo di collegare Lanzo e le sue valli con Torino. In questo modo si poteva superare il fiume Stura senza passare da territori ostili ai Savoia.
Il nome del ponte deriva, appunto, dalla leggenda appena raccontata. Ci perdonino gli amanti degli animali, anche noi adoriamo i cani ma la storia che si tramanda da secoli è tristemente questa.