Se l'ultima in classifica va a giocare a casa della seconda, di solito il risultato è scontato. Di solito, ma non se c'è il Torino di mezzo.
Capita così, del tutto inaspettatamente, che l'ultima in classifica, a sette minuti dalla fine, sia in vantaggio di due reti. Partita chiusa, perché anche il più sprovveduto degli allenatori, rompe il ritmo con una sostituzione, ma anche due, che sparigliano le carte, modificano gli schemi e tolgono un po' di pressione. Invece no, perché noi siamo il Torino FC.
Noi restiamo lì, immobili, rassegnati, ad aspettare la reazione dell'avversario: reazione di cui quell’avversario ha fatto un marchio di fabbrica, che l'ha portato meritatamente ad occupare quel posto in classifica. Un micidiale uno-due in sessanta secondi, mette al tappeto la squadra di Giampaolo. E così un risultato che alla vigilia tutti quanti avrebbero sottoscritto col proprio sangue, ovvero un pareggio esterno contro il Sassuolo, assume il sapore amaro di beffa cocente. Il primo, pesantissimo, importantissimo punto della stagione, avrebbe e dovrebbe essere stato accompagnato da altri due. Ma non è la prima volta, di questa stagione, che succede. Con la viola, prima giornata, una sconfitta di misura, nel finale. In casa con l’Atalanta, eravamo stati in vantaggio, prima di subire una giusta rimonta. Stessa sorte col Cagliari, benché gli isolani fossero tranquillamente alla nostra portata.
Pare quindi evidente che questi quattro risultati abbiano un unico comune denominatore, facilmente identificabile: la paura di vincere.
Puoi mettere insieme i migliori calciatori del mondo (nel nostro caso non è così, ma facciamo finta) ed affidarli al miglior allenatore del mondo (nel nostro caso non è così, ma facciamo finta) ma se non li convinci delle loro possibilità, resteranno sempre dei mediocri.
D'altronde, quando arrivano in una società che ha fatto la storia del calcio italiano ed ha una leggenda che è conosciuta e rispettata nel mondo intero, ma tutto quello che si sentono dire è che la cosa che più conta è il pareggio di bilancio, perché siamo già falliti nel 2005, cosa vogliamo pretendere da loro?
Tra l'altro, questa è una storia che puzza di scusa lontano un chilometro, visto che dopo l’Atalanta, anche il Sassuolo ci sta dimostrando che la classifica sportiva non necessariamente deve aderire a quella finanziaria, secondo il teorema per cui a maggiori volumi di bilancio, corrispondono maggiori risultati sportivi. Però, per ribaltare il teorema assurto a scusa, ci vuole voglia di investire, lungimiranza, progetti.
In una parola, ci vogliono le palle, non i coglioni.
E il primo passo in questa direzione, potrebbe essere l'ingaggio, peraltro nemmeno troppo oneroso, di un “mental coach”, un motivatore. Qualcuno che con degli studi alle spalle, sappia capire le dinamiche mentali, individuali e collettive, ed affiancare l'allenatore, nel dare la scossa ai giocatori.
Perché per togliere dalle gambe e dalle menti dei ragazzi questa “insostenibile pesantezza del vincere”, ci vuole ben di più delle solite parole a vuoto che siamo abituati a sentire in società.