World Press Photo non è solo una mostra, ma si presenta a Torino come un festival di attualità, con tante occasioni di approfondimento, tutte a ingresso gratuito.
Giovedì 10 ottobre alle 18,30 all'Ex Borsa Valori di piazzale Valdo Fusi è previsto l'incontro "Donne schiave. Dalle spose bambine alle lavoratrici minorenni e sfruttate alle prostitute vendute ai bordelli”, con la presentazione del documentario “Bangladesh and Piedmont”. E' firmato da Luca Schilirò, giornalista freelance e videomaker di Torino che collabora con La7 e realizza documentari e reportage in Italia e all'estero. Insieme a lui Roberta Pellegrini, direttrice dell’Associazione Stampa Subalpina, e Monica Cerutti. Il lavoro è stato realizzato grazie al progetto “Frame, voice, report” promosso dal Consorzio delle Ong Piemontesi (COP) è cofinanziato dall’Unione Europea e dalla Regione Piemonte: l'incontro sarà l'occasione anche per fare un bilancio di questa iniziativa.
Il viaggio parte da Torino e in particolare dal cliché con cui la maggior parte dei torinesi identifica l’immigrato bengalese, ovvero il venditore di rose. Partendo da alcune brevi interviste realizzate tra via Roma, via Garibaldi e piazza Castello che mostrano senza cattiveria le lacune culturali dei piemontesi in merito alla realtà bengalese, il reportage approfondisce alcune delle principali piaghe sociali a cui il Bangladesh deve far fronte: i matrimoni precoci, lo sfruttamento della prostituzione, l’immigrazione interna e verso l'estero, i cambiamenti climatici e l'assenza di strutture igienico-sanitarie adeguate per la maggior parte della popolazione.L’intento, tuttavia, è di trasmettere un messaggio di tipo costruttivo, declinando il problema all’obiettivo: cosa si può fare?
Per lo stesso motivo vengono illustrate testimonianze positive su quello che si sta facendo per risolvere tali problematiche e puntare agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, sia in termini generali, sia sulla base dell’esperienza di Ashar Gan Onlus e, cosa fondamentale, sull’impegno e il ruolo attivo dei soggetti in Bangladesh (persone e organizzazioni con cui l’Associazione coopera). Dando voce alle organizzazioni bengalesi che si occupano di cooperazione, si ascoltano esperienze e competenze di persone che vivono nelle zone più povere del pianeta, e che tuttavia rifiutano il ruolo di vittime passive e lavorano per essere protagoniste di un cambiamento.
Il documentario
Nascere donna, in Bangladesh, è uno straordinario colpo di sfortuna.
Khadija se n’è accorta all’età di 12 anni, in una giornata qualunque, tornando a casa da scuola. Sulle spalle aveva ancora il suo zainetto pieno di libri, di sogni e di progetti.
“Da oggi basta scuola, ti devi sposare” le dicono i suoi genitori.
“Ma come? Io voglio continuare a studiare” risponde lei, abituata a non chinare la testa.
“Tutto è già stato deciso. Ti sposerai e avrai dei figli. Non discutere”.
Come Khadija, nove ragazze su dieci, nelle zone più povere del Bangladesh, sono costrette a sposarsi prima di compiere 16 anni. Costrette dagli stessi genitori che non vedono l’ora di liberarsi di una bocca in più da sfamare. Matrimonio, per una donna bengalese, significa partorire prima dei 14 anni, con rischi anche mortali. Significa abbandonare gli studi. Significa trascorrere l’intera vita a badare ai figli, cucinare, pulire casa. Significa ricevere i “ringraziamenti” del marito a suon di maltrattamenti e botte.
Nascere donna, in Bangladesh, è una condanna. Se non moglie e madre sottomessa, significa essere sfruttata nelle fabbriche di vestiti, in cui si entra alle prime luci dell’alba e si esce a notte fonda. Il guadagno? Il corrispettivo di sei o sette euro a settimana.