Elio, dio del Sole, tornava a casa ogni sera dopo aver guidato il suo carro lungo il cielo. E ogni sera suo figlio, Fetonte, gli correva incontro. Il piccolo ammirava i fregi preziosi del mezzo, il manto lucente dei cavalli volanti e la potenza incredibile del sole. Il suo entusiasmo era tale che, ogni tanto, Elio gli permetteva di fargli compagnia e sedersi al suo fianco mentre sorvolavano mari, prati e monti.
Gli anni passavano, Fetonte cresceva, ma la sua passione per il carro e la missione del padre non si chetava, anzi. E, a questa profonda ammirazione, facevano da contraltare le prese in giro degli amici, o presunti tali, che mettevano in dubbio la sua discendenza divina, divertendosi a pungolarlo nell’orgoglio: “Tu sei uno come tanti”, gli dicevano ridendo, “non hai un goccio del sangue o dei poteri di tuo padre”.
"Padre ti prego, posso venire con te?" chiedeva Fetonte ogni giorno prima dell'alba. "Padre, per favore, posso prendere io le redini?" azzardava quand'erano in volo. "Padre, perché non ti riposi domani? Potrei prendere io il tuo posto", proponeva ogni sera appena tornati a terra. Così fece per uno, due, cento giorni e a poco valevano spiegazioni e risposte del padre: "Figliolo caro, mi è stato affidato questo ruolo da Zeus in persona e, fino a che lui non deciderà diversamente, nessuno altro avrà la capacità o il potere di guidare il carro lungo il cielo".
Ma Fetonte non si rassegnava. E più cresceva lui, più cresceva con lui il desiderio di prendere il posto di Elio e dimostrare al padre, a Zeus e a coloro che lo deridevano la sua abilità. E più cresceva tale desiderio più il ragazzo si faceva insistente, fino a corrodere la pietra proprio come fa la goccia. Fu così che un giorno Elio, esasperato, gli concesse la guida. “Va bene...”, fece appena in tempo a dire che Fetonte, con un balzo, fu sul carro e partì a spron battuto prima ancora che il padre potesse salire con lui.
I cavalli spiccarono il volo. Il ragazzo, inebriato dal potere, aumentò l'andatura delle bestie, "Veloce, sempre più veloce", e puntò il carro verso le stelle, "più in alto sempre più in alto!" urlava sentendosi il padrone dell'universo, il più potente degli dei. Alla faccia del padre che non gli aveva mai dato fiducia, di quelli che lo avevano deriso e di Zeus, sì, anche alla faccia di Zeus! Peccato che a tanto potere non corrispondessero né esperienza né saggezza. E infatti i cavalli s'imbizzarrirono e Fetonte non fu più in grado di controllarli.
Di fronte agli occhi allibiti delle persone a terra, i cavalli puntarono in alto, sempre più in alto, fino a quando il sole con i suoi raggi provocò uno squarcio nella volta celeste. Una striscia bianca tra le stelle che, per il peculiare aspetto, da quel momento venne chiamata Via Lattea.
Fetonte, spaventato, tirò le redini, i cavalli puntarono quindi verso terra, passando radenti sull’erba alta e verde che copriva tutta la Libia. I raggi del sole bruciarono così la vegetazione, trasformando per sempre una landa rigogliosa in un arido deserto.
Zeus, resosi conto del disastro che stava provocando Fetonte, per evitare il peggio e interrompere tale distruzione, non poté fare altro che scagliare un fulmine contro il carro. Il mezzo precipitò dunque verso terra, e il ragazzo trovò la fine della sua avventura e della vita nel fiume Eridano, nome greco per indicare il fiume Po.
Narra una leggenda che il carro del sole precipitò proprio nella zona dove, molto tempo dopo, sarebbe nata la città di Torino. Narra invece un’altra leggenda che il luogo del disastro si trovi nei pressi dell’attuale Rovigo. Noi, ovviamente, tifiamo per la versione che vede la nostra città protagonista.
Immagine: “La caduta di Fetonte” di Joseph Heintz the Elder (1564 - 1609).